Nata dai Millennial, tra il 2010 e il futuro 2025 – le forchette sono sempre mobili di qualche anno – la Generazione Alpha prende il suo nome dal futurista e demografo Mark McCrindle: è la prima generazione nata interamente nel XXI secolo. Nel 2005, il gruppo di lavoro coordinato da McCrindle ha portato avanti un’indagine sul territorio australiano chiedendo agli intervistati quale potesse essere la definizione più esatta da dare a questa fascia e Alpha è sembrata la scelta più naturale. Questo perché nelle materie scientifiche – come la meteorologia con la lunga stagione degli uragani dell’Atlantico, ad esempio – una volta esaurito l’alfabeto latino o i numeri arabi, si passa proprio all’alfabeto greco. E così hanno scelto di agire anche i sociologi.
Le alternative che qualcuno, timidamente, prova a proporre sono la Gen Tech, la Net Tech oppure la Glass Generation, in riferimento agli schermi di vetro dei dispositivi; nomi che risultano generici, poco identificativi, sovrapponibili alla Generazione Z precedente. Ma le differenze, come vedremo, sono sostanziali tra i due archi temporali.
Se per i Baby Boomer il computer più recenti erano ancora meccanici e pesanti, le generazioni X e Y hanno assistito via via a cambiamenti importanti: portati più pratici, software più intuitivi, nonché piattaforme di conversazione quali i social media che hanno portato un’intensificazione di relazioni digitali. Ma a differenza delle generazioni precedenti, che si sono limitate a usare la tecnologia, gli Alpha trascorreranno la loro vita completamente immersi in questa.
Immersi non è una parola casuale: la tecnologia che stanno iniziando a vivere questi bambini – che oggi hanno al massimo 9 anni – interessa sempre più l’aspetto uditivo, visivo e tattile. Come ha osservato McCrindle, gli Alpha non pensano a queste tecnologie come strumenti, bensì come elementi integrati in modo naturale nelle loro vite.
D’altronde è la generazione nata negli anni del lancio dell’iPad e di Instagram. Se ci pensiamo, la maggior parte dei Millennial sono riusciti a conoscere il mondo anche senza Internet. Solo la Generazione Z può essere definita – in tutta la sua totalità – vera nativa digitale. A loro volta gli Alpha sono i primi bimbi a saper usare i dispositivi digitali da quando hanno 2/3 anni e ad avere a disposizione parecchi gadget tech.
In Italia oggi i bambini tra 0 e 9 anni sono 5,6 milioni, un numero non irrilevante: nel 2050 saranno 27,5 milioni di individui, il 43% della popolazione italiana. A livello mondiale, sembra che ogni settimana nascerebbero nel mondo circa 2,5 milioni di Alpha: a questo ritmo, la generazione potrebbe superare i 2 miliardi di persone se consideriamo che gli ultimi nati saranno della classe 2025. Anche se ancora piccoli, hanno già una personalità piuttosto delineata dai sociologi.
Sono più egocentrici e cercano soddisfazioni immediate, ma il fatto che stiano nascendo in un mondo affollato e iperconnesso, li rende di per sé più equipaggiati di chiunque altro per affrontare i problemi che oggi fatichiamo a risolvere. Al tempo stesso, gli Alpha si annoiano in fretta: passano da uno schermo all’altro con fluidità, scansionano in modo rapidissimo le informazioni che hanno davanti, consultano video con e senza audio indistintamente. Forse è sbagliato pensare che tale atteggiamento sia dettato da un deficit di attenzione, forse è solo un modo diverso di gestirla.
Alcuni di loro sono già influencer. Hanno anche una maggior predisposizione con la realtà aumentata, la realtà virtuale e con l’intelligenza artificiale; su tutte le tecnologie, quella della voce – con gli assistenti vocali ad esempio – e quella delle interfacce gestuali hanno la meglio. È interessante notare anche come non usino il digitale solo per il gioco, ma anche per l’apprendimento: attraverso l’interazione e il gioco possono accrescere le loro capacità in termini cognitivi e di conoscenza.
Le aziende americane stanno già spendendo fino a 13 miliardi l’anno per conquistare gli Alpha, nonostante siano ancora piccoli e non abbiano potere di acquisto diretto. Ma non dimentichiamoci che questi bambini sono figli di genitori più consapevoli e responsabili, e che tendono a cercare solo il meglio per loro, anche attraverso un confronto. Inoltre, sono genitori che spesso hanno avuto un solo figlio, e magari anche in età più avanzata di un tempo. Ecco perché pian piano i brand stanno capendo quanto sia importante strutturare strategie di marketing che conquistino non solo gli adulti ma anche i piccoli.
Non è un caso se – come secondo quanto riporta Forbes – tre anni fa su Amazon.com, a pochi giorni dalle festività, l’oggetto più volte inserito nelle Wish List degli utenti è stato il BUDDIBOX, una particolare cover per permettere ai bambini di usare in sicurezza dispositivi come iPhone e iPad. E sempre nel 2015, una delle app più scaricate è stata ABCmouse, nata per invogliare gli under8 a imparare attraverso i dispositivi digitali più comuni.
Ci sono già alcuni studi interessanti sulla Generazione Alpha. Quello più citato e accreditato è stato condotto su otto paesi – Italia compresa – da Hotwire e Wired Consulting intitolato “Understanding Generation Alpha“. Quasi un terzo dei genitori italiani è certo che i propri figli preferiscano i gadget tecnologici agli animali domestici e ai giocattoli tradizionali, oltre che a qualsiasi altra attività, comprese le vacanze e le giornate passate fuori in compagnia di famiglia e amici. Il 48% si dichiara preoccupato anche per il tempo sottratto all’esercizio fisico e all’attività sportiva; il 36% è allarmato dalla possibilità che, isolandosi nel loro mondo digitale, i propri figli perdano importanti capacità sociali e relazionali.
Un genitore su quattro chiede ai propri figli piccoli la loro opinione prima di acquistare un televisore, un pc, un tablet o uno smartphone. In generale, gli adulti sono certi che le abilità digitali dei bambini siano superiori rispetto alle loro una volta raggiunti gli otto anni. In Italia l’età media per il sorpasso tecnologico percepito si alza agli over10. Nelle abitazioni molti bambini vivono già con dispositivi come Amazon Echo e Google Home, e i giocattoli connessi stanno diventando la normalità; Hello Barbie di Mattel e gli Hatchimals ne sono esempi.
L’Internet of Toys, l’internet dei giocattoli, è già una realtà.
Gli stessi giochi stanno cambiando, diventando naturalmente molto più inclusivi. Con lo slogan “quando tutti giocano, tutti noi vinciamo“, la pubblicità 2019 di Microsoft al Superbowl è commovente e memorabile, mostrando il nuovo controller Adaptive di Xbox One. Lo spot è riuscito a parlare a tutti, soprattutto ai bambini con mobilità limitata e ai loro genitori sereni. La mossa di Microsoft nel settore del gioco inclusivo segna un impegno concreto per incidere in modo pratico e positivo all’interno della società. Ma è non il solo brand.
Mattel ha distribuito la prima Barbie con un arto protesico, dopo la Barbie su sedia a rotelle. Scelte che riflettono il fatto che i genitori Millennial vogliono che i marchi amati dai loro figli rispondano a valori inclusivi. Anche Playmobil e Lego hanno lanciato sul mercato nuovi personaggi su sedie a rotelle e mattoncini in braille.
Mentre il cambiamento delle aspettative dei consumatori sta cambiando l’approccio alla rappresentazione, i marchi si stanno anche muovendo per rettificare i costi che storicamente hanno ostacolato l’accessibilità.
In Inghilterra, Marks & Spencer ha recentemente lanciato la sua linea di abbigliamento inclusivo Easy Dressing, con chiusure in velcro più facile da aprire e chiudere, tasche discrete per l’alimentazione attraverso tubi, e tessuti morbidi per proteggere la pelle sensibile. Negli Stati Uniti, Target ha lanciato invece una gamma sensoriale di articoli per la casa per supportare i bambini autistici. La linea Pillowfort – con trame morbide e colori tenui – comprende oggetti come scrivanie a dondolo, coperte pensate per calmare i nervi e sedie a bozzolo per simulare la sensazione di essere abbracciati. E a Tel Aviv, IKEA ha promosso la progettazione di arredamento inclusivo, consentendo agli utenti di ordinare parti di mobili stampati in 3D per soddisfare le singole esigenze.
Apple ha spianato la strada per aiutare i brand a ripensare i loro prodotti in termini di inclusività; pensiamo a funzionalità come VoiceOver, che aiuta le persone a vedere cosa sta accadendo sul loro schermo attraverso il comando vocale e LiveListen, consentendo a chi ha un apparecchio acustico di sintonizzarsi meglio.
Allo stesso tempo, questa tecnologia ha anche aperto la strada a app come Whiz-Kidz, che consente agli utenti di trovare attrezzature per la mobilità nella loro area, e Speech with Milo, un’app che aiuta i bambini a praticare la logopedia. In Brasile, Canon ha sfruttato la tecnologia per aiutare i bambini a identificare la cecità dei colori fin dalla giovane età, mentre l’app mobile Be My Eyes collega i non vedenti ai volontari che li aiutano a vedere attraverso l’app.
I bambini Alpha sono i consumatori adulti del futuro, dunque se i marchi vogliono attingere al mercato inclusivo ha senso cercare di stabilire un legame con loro fin dalla tenera età. Una ricerca ha dimostrato che i bambini possono riconoscere i marchi sin dall’età di due anni; il 75% di chi ha meno di 11 anni usa Internet guardano video su YouTube. E infatti il mercato YouTube dei consumatori Alpha è così redditizio che gli influencer di appena quattro anni stanno facendo migliaia di sterline sul sito.
Nello spazio competitivo dell’intrattenimento per bambini, la filosofia di base di Toca Boca si basa sulla premessa che produce “giocattoli digitali, non giochi”. Non ci sono associazioni o parole di genere, né compiti di scrittura o esercizi di memoria, tanto comuni nelle app di gioco per bambini. Al contrario, utilizza test rigorosi e modifiche per co-creare app con i bambini, concentrandosi sul potere del gioco per stimolare la loro immaginazione e aiutarli a conoscere il mondo.
Fondata da Björn Jeffery e Emil Ovemar nel 2010, Toca Boca ha cambiato il mercato delle app per bambini con oltre 100 milioni di download in due anni. Ora ha uffici a Stoccolma e San Francisco e le sue 42 app sono state scaricate più di 225 milioni di volte, diventando così il marchio numero uno per i dispositivi mobili per la prima volta nell’app store. Anche se i giochi in genere costano $ 3,99 l’uno, non ci sono pubblicità dannose o tattiche manipolative nei giochi, evitando alcuni dei problemi associati ad altri contenuti digitali destinati ai bambini.
Toca Kitchen Sushi consente ai bambini di avvolgere e arrotolare virtualmente il sushi utilizzando una vasta gamma di ingredienti; Toca Life: World li spinge a recitare in casa, in vacanza, a scuola e in altri contesti; e la serie Toca Lab porta gli scienziati in erba di scoprire gli elementi e osservare lo sviluppo delle piante.
L’American Academy of Pediatrics ha pubblicato una serie di regolamenti nel 2016 che enfatizzano un approccio di utilizzo dei media più collaborativo, che implica il coinvolgimento reciproco tra genitori e figli, e un focus sul portare esperienze di gioco digitale nel più ampio contesto della vita dei bambini e delle interazioni sociali.
Infine, non tutte le ricerche sono concordi che un’esposizione precoce ai dispositivi digitali sia dannosa; secondo un articolo pubblicato nel 2016, l’uso dei touchscreen è legato positivamente allo sviluppo delle capacità motorie dei piccoli e le app che promuovono l‘apprendimento attivo, impegnato e socialmente interattivo possono supportare l’istruzione formale. Una buona notizia per i genitori che, nonostante le preoccupazioni, si affidano alla tecnologia per intrattenere i loro figli.