Quando finì l’epoca dei biberon i miei si sentirono rassicurati. Un omogeneizzato pronto e fatto avrebbe reso più semplice la loro vita. Poi, però, intervenne il pediatra a dare la notizia ferale. “Non penserete di dare alla bambina quelle orribili cose nel barattolo di vetro, vero? No, cari signori, gli omogeneizzati li farete voi in casa!”. I miei avevano avuto un momento di mancamento. Poi, con infinita pazienza, si erano messi a frullare verdure, grattugiare mele e sminuzzare carne e pesce. Dopo quasi trentacinque anni mio padre confessò che non poteva neppure pensare a quanto brodo avevano consumato per fare bollire le benedette verdure.
Eppure, forse anche grazie a questo spremi-sbatti-sminuzza-grattugia, ero cresciuta moderatamente sana. La vita mi aveva insegnato che potevo ricorrere al già pronto-già cotto-preconfezionato ma che il vero sapore, e la vera salute, si nascondeva in qualcosa di meno sintetico e, talvolta, più faticoso da ottenere.
Dall’omogeneizzato infantile, negli anni di dottorato, ero passata a riflettere sul fatto che le persone volessero “omogeneizzati” in molti altri settori della vita. Durante quegli anni ho fatto ricerca sulla mindfulness, una tecnica di meditazione basata sull’attenzione, con solide basi scientifiche, esperimenti a supporto e quarant’anni di lettura scientifica a confermarne i risultati. Il corso base dura otto settimane, durante le quali, oltre alle lezioni, si chiede alle persone di meditare circa trenta minuti al giorno. Trenta minuti al giorno da soli a concentrarsi? Troppo difficile per tante persone. Molto più semplice rivolgersi a un riflessologo plantare che, in sole otto sedute, senza nessuno sforzo personale, faceva passare il mal di schiena dovuto ai tacchi alti. Nel pacchetto era inclusa anche la spiegazione sul fatto che eri indecisa tra due uomini e che questa “divisione interiore” corrispondeva alla tua spina dorsale. Era questo a farti venire il mal di schiena, non i tacchi alti!
Il tema dell’omogeneizzato preconfezionato tornava nella mia vita. Un’apparente verità, facile, costosa, premasticata e servita in un costoso barattolo che per molte persone aveva lo stesso potere tentatore delle sirene di Ulisse.
Uno dei punti salienti e contemporaneamente critici della meditazione mindfulness, come anche della psicoterapia, è che la persona deve effettivamente mettere un impegno personale nella risoluzione dei problemi, per vedere un miglioramento nella propria vita. Come sono solita dire, siamo noi il medico e il paziente. Il risultato mi sorprende: alcune persone non si fidano del proprio impegno, preferiscono, invece, affidarsi ciecamente e incondizionatamente a un guru che su internet propone soluzioni facili, alla portata di tutti e di solito… molto costose. I perché hanno cominciato ad affollare la mia mente.
Perché era più semplice utilizzare un costosissimo olio di chiodi di garofano per il mal di denti anziché chiamare il dentista? Perché per un mal di denti la gente guardava i gruppi di Facebook anziché chiamare un signore che aveva minimo cinque anni di studi universitari più un tot di anni di esperienza? Perché avevamo perso la fiducia nello studio e improvvisamente ci fidavamo di improvvisate fattucchiere online che ci consigliavano magiche pozioni per curare l’otite dei quadrupedi o per salvare i matrimoni dei bipedi?
Non trovavo risposte ma, sicuramente, il concetto di “risultato rapido” aveva un enorme potere attrattivo. I fatti sembravano confermare questa idea. Quando era uscito un libro sulla meditazione mindfulness dal titolo “Cinquantasei giorni per la felicità” una mia conoscente, da tempo alla ricerca della pace dei sensi, aveva commentato “Caspita, cinquantasei giorni sono un sacco di tempo”. Così si era recata dalla massoterapista che le aveva sbloccato i chakra (per il quadruplo del costo del libro, ça va sans dire!) e l’aveva convinta ad iscriversi ad un corso per il benessere olistico (degli altri). In soli tre anni, e con una spesa di tremila euro, aveva una certificazione che le permetteva di fornire agli altri le soluzioni che non sapeva fornire a se stessa. Un diploma le conferiva la possibilità di fornire improbabili, rapide e omogeneizzate soluzioni. Risultati garantiti!
In questo caso più che la rapidità, quello che aveva funzionato era stato lo spostamento dell’asse del problema: anziché lavorare su di me, lavoro sugli altri. L’omogeneizzato è servito.
Un’altra conoscente in un sabato pomeriggio, e con soli novecento euro, aveva scoperto che il suo animale totem era il cervo e che a lui doveva affidarsi per le scelte della vita, mettendosi in contatto con costose sedute via Skype, aiutata dal guru che forniva questo servizio. Ora, per quella cifra, il mio eventuale cervo avrebbe dovuto comparirmi davanti inserito in un menu degustazione da otto portate (vini in abbinamento) nel celebre tre stelle Michelin di Copenaghen.
Le soluzioni omogeneizzate, rapide e facili, viaggiano ancor più rapide e facili in rete. Ma non sono solo i problemi di indecisione tra due uomini o su quale lavoro scegliere che affidiamo ai guru improvvisati. Spesso affidiamo loro la nostra salute fisica – forse perché quella mentale già ce la siamo persa. Secondo una ricerca di Altroconsumo sono in maggioranza le persone più istruite a cercare informazioni sulla salute su internet… ma per fortuna lo fanno su siti di Ospedali e Istituti di ricerca. E fin qui il dato sembra rassicurante perché potrebbe essere un caso di cybercondria. Per chi, come me, adora Woody Allen, solo una naturale evoluzione dell’ipocondria. Il problema sorge, invece, quando si affida la propria salute a quelli che AIDAP (Associazione italiana Disturbi dell’alimentazione e del peso) ha definito in maniera precisa e chirurgica “cyber criminali”.
La scena è più o meno sempre la stessa. Il tuo contatto Facebook o Instagram comincia a postare insistentemente immagini del prima e del dopo, pozioni magiche in grado di togliere la fame e il peso in eccesso, che curano tonsilliti nei bimbi e otiti nei gatti. Tu da amico diventi follower e poi, nell’escalation, paziente. Il guru della porta accanto, di solito, lo vedi partecipare a gruppi di studio – con altri improvvisati come lui – a fiere e convention. Piovono foto, esperienze illuminanti e cambiamenti folgoranti. Tra lacrime e voglia di migliorarsi, si scopre che sono tutti carichi di adrenalina, più sani, più magri, più in forma.
Secondo il “Primo rapporto sulle abitudini alimentari degli Italiani” del Censis, l’affermazione che descrive, secondo gli intervistati, il proprio rapporto con il cibo è “Vorrei mangiare più sano ma non ci riesco”. A questa problematica ha una pronta soluzione la mamma del compagno di scuola dei tuoi figli o il proprietario del cagnolone carino che incontri al parchetto dei cani. Sotto quelle umili vesti c’è un guru in connessione con l’Universo o uno specialista in olii essenziali.
I risultati sono inquietanti, a mio avviso. Sul tema dell’alimentazione, per fare solo un esempio, l’Osservatorio News Italia 2017 afferma che circa il 50% delle persone con eccesso di peso ha fatto ricorso a prodotti e sistemi dimagranti che promettevano una perdita di peso senza il bisogno di mangiare di meno. Peccato che il 90% di coloro che li hanno sperimentati li definisca inefficaci.
Padrone di cane e madre del compagno di scuola non demordono, tuttavia. La salute del follower, amico e paziente ha un valore. Secondo le statistiche internazionali 55 miliardi di dollari (fonte: Come si informano gli italiani. Pubblici, media, prodotti culturali). Un altro numero preoccupante: secondo una indagine del Censis realizzata in collaborazione con Assosalute, il 28,4% della popolazione si rivolge al web per cercare una cura ai propri mali.
I millennial, secondo la ricerca Nielsen del 2017, sono la generazione che vuole tutto e subito, è vero, ma sono anche la generazione che è più informata. Basandomi sull’osservazione di questi eroi delle soluzioni già pronte e rapide, ho notato alcune caratteristiche comuni. Accessibilità, prossimità e quella che io ho definito “ridondanza”.
La prima caratteristica è che la persona è accessibile. È vero che è depositaria di una soluzione geniale e rapida per tutti i tuoi problemi, dalla ricrescita dei capelli al fallimento del matrimonio, è vero che ne sa un sacco ed è connessa col divino, con il sé e con l’animale totem. Ma è a portata di mano. Lo puoi vedere e toccare, si lascia avvicinare. Fa video e storie, puoi andarla a sentire, puoi fissare una consulenza, in fondo… è come te ed è vicino a te.
Ed eccoci alla seconda caratteristica. La persona parla un linguaggio semplice, è il semplice e comune uomo della strada che, ad anni di Università, preferisce la celebrata università della strada. Non ha titoli roboanti, capelli bianchi e occhiali spessi dovuti agli anni trascorsi in un laboratorio, in biblioteca o in polverose aule universitarie. È “come te”, al tuo livello. E te lo ribadisce ogni giorno. Eccoci alla terza caratteristica, la ridondanza. Aggiornamenti costanti, storie sui social media, foto, blog aggiornati. Il fornitore di soluzioni omogeneizzate è costante e ridondante. Più e più volte al giorno, grazie alla rete, ti ricorda che lui (o lei) ce l’ha fatta. E tu cosa aspetti?
“Gli uomini credono volentieri ciò che desiderano sia vero”, ha scritto Giulio Cesare. Possibile che in qualche millennio di crescita, siamo rimasti fermi su questo punto? Possibile che una società evoluta come la nostra non abbia appreso nulla dalle fiabe e dalle leggende?
Dall’Odissea all’Asino d’oro, fino ad arrivare a Pinocchio, le strade facili sembrano condurre a pericoli. La scorciatoia trasforma l’uomo in animale. L’avvicinarsi alla nostra parte più materiale ci allontana dalla vera spiritualità. E l’assenza di spiritualità ci porta a cercarla in barattolo, preconfezionata dal guru della porta accanto.
La “secolarizzazione del mondo” teorizzata dal sociologo Acquaviva, propone il modello di realtà profana che si auto-legittima senza fare ricorso al sacro. In questo caso sembra che medicina della strada, la psicologia facile e altre discipline “omogeneizzate” si possano auto-legittimare senza fare ricorso ad alcun tipo di scienza o disciplina accreditata.
“Da quando gli uomini non credono più a Dio, non hanno affatto smesso di credere, ma credono a tutto quanto” secondo lo scrittore Chesterton. Persino alle soluzioni omogeneizzate, facili, che non impongono fatica e che sono alla portata di tutti. È la decadenza del sacro e della spiritualità che ci porta ad una ricerca continua di fonti a cui affidarci? È l’assenza di punti di riferimento e regole chiare? O è la poca voglia di sminuzzare-grattugiare-frullare?
Nell’era dell’omogeneizzato abbiamo parcheggiato i nostri figli davanti a tablet e cellulari affidando il racconto di fiabe e storie ai personaggi di Youtube. Da quando abbiamo smesso di raccontare le fiabe, abbiamo deciso di crederci?
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Acquaviva, S. S. (1961). L’eclissi del sacro nella civiltà industriale.
Dissacrazione e secolarizzazione nella società industriale e postindustriale, Milano: Comunità.
Apuleio, Lucio (2° secolo d.C. ), Le metamorfosi.