Scuro Chiaro

Storicamente, l’ebraismo ha fatto affidamento sul suo corpus interno per far rispettare le norme sociali e perpetuare le tradizioni. Ma via via che la tecnologia diventa sempre più pervasiva, come sta cambiando il loro modo di vivere la religione? Pensiamo alle abitazioni domestiche. Gli ebrei ortodossi che aderiscono all’halakhah non possono far funzionare l’elettronica durante lo Shabbat, che dura dal tramonto di venerdì fino al tramonto di sabato, ma sono le nuove case intelligenti a dare una mano: quando si avvicina l’imbrunire, i sensori di movimento si disattivano, tutti gli apparati elettronici passano in modalità “no-touch” e le luci si spengono in base a timer pre-programmati. E questo è solo un esempio tra i tanti.

I tempi cambiano, e gli effetti si vedono anche e soprattutto nelle nuove generazioni. L’osservanza decrescente tra i giovani ebrei progressisti pone degli interrogativi su come facilitare il reimpegno: in molti sperano che le iniziative tecnologiche creative, come le app di meditazione per lo Shabbat e le campagne sui social media riporteranno l’attenzione all’ovile. Sebbene il mondo ortodosso sia vario, l’atteggiamento prevalente nei confronti della tecnologia è relativamente uniforme: non significano che la allontano del tutto ma, al contrario, impiegano la tecnologia in un modo straordinariamente sofisticato.

Ad esempio, le piastre riscaldanti di TechYidCo rimangono a 170 gradi per mantenere caldo il cibo quando è vietata la cottura e caldaie ad acqua di grandi dimensioni assicurano che si possa fare il caffè in ogni momento. Non solo: i produttori di elettrodomestici tradizionali producono frigoriferi e lavastoviglie con “modalità Sabbath“, che disabilitano luci e allarmi.

Ma è Internet a rappresentare la sfida più grande per gli ebrei ortodossi, benché, anche in questo caso, abbiano trovato la giusta quadra. L’uso più comune della Rete è l’apprendimento: poiché la borsa di studio permanente è una delle maggiori priorità nel mondo ortodosso, rabbini ed educatori hanno sfruttato il potenziale del web per diffondere testi religiosi a gruppi sempre più ampi di persone. Nel 2018, un consorzio di rabbini ha lanciato il Progetto 929 in lingua inglese, un programma in base al quale i partecipanti accedono a un capitolo del Tanakh ogni giorno (tranne il sabato) tramite sito o app mobile.

Oppure c’è Kitzur365 che invia estratti quotidiani del Kitzur Shulchan Aruch, la raccolta abbreviata della legge ebraica del XVI secolo, ai suoi abbonati alla mailing list. Detto questo, se provate a collegarvi al sito di sabato, questo è quello che vedrete.

E poi c’è l’esempio forse più impressionante: il Progetto Sefaria, che ha digitalizzato 183 milioni di parole di letteratura ebraica, compresa l’intera Torah. A partire dal 2018, circa un milione di utenti in tutto il mondo hanno avuto accesso alla biblioteca.

Di tutto lo spettro dell’ortodossia, nessuna è stata più attenta ai poteri della tecnologia del movimento Chabad – branca dell’ebraismo chassidico focalizzata sulla divulgazione, che ha usato da sempre tecnologia all’avanguardia per diffondere il suo messaggio, fin da quando ha iniziato a trasmettere i suoi discorsi via radio nel 1960. Oggi il sito web dello Chabad ha 52 milioni di visitatori unici all’anno – secondo a Mordechai Lightstone, che dirige i suoi social media e My Tech Tribe, startup che organizza eventi per ebrei che lavorano nei media digitali.

Ci sono poi anche ebrei ortodossi che, pur rimanendo saldi nelle proprie comunità, hanno usato la tecnologia moderna per affrontare alcune delle difficoltà che hanno con i vincoli della vita ortodossa. Per molte famiglie ultraortodosse, lo scenario ideale è che il marito studi il Talmud a tempo pieno, mentre la moglie è la responsabile della casa e della cura dei figli. Ma poiché molte famiglie religiose hanno più del numero medio di bimbi – spesso anche più di sei, ai quali vanno pagate le lezioni di yeshivala pressione finanziaria si fa sentire e il risultato è una povertà diffusa. Dei 240.000 ebrei ultraortodossi di NYC, il 43% è classificato come povero.

Molti si sono rivolti ad Amazon per integrare le loro entrate: essere un rivenditore consente di vivere meglio l’impegnativo calendario rituale. I giornalisti che trattano il fenomeno suggeriscono che ciò riesce a promuovere anche l’imprenditorialità delle donne, perché possono lavorare da casa assecondando i programmi dei loro figli. Le donne ortodosse di oggi, in particolare, usano la Rete per rendersi visibili. Attiviste come Adina Miles Sash, conosciuta online come Flatbush Girl, e Shira Lankin Sheps, che gestisce la rivista online femminile The Layers Project, usano le loro piattaforme per parlare dell’importanza di mostrare i volti delle donne – dopo che una rivista charedì li ha pixelati da scatti di Auschwitz.

La serie web Soon By You racconta le avventure romantiche dei moderni ortodossi ventenni a New York. Circa un milione di spettatori hanno guardato la prima stagione su YouTube.

I social media hanno anche contribuito a far crescere le imprese chassidiche a guida femminile. Le aziende di abbigliamento di modest fashion – Tznius – gestite da donne chassidiche come The Frock NYC e Mimu Maxi veicolano gran parte della loro promozione su Instagram, dove devono trovare un delicato equilibrio tra “coprire” e apparire alla moda.

Poiché il mondo ortodosso cerca un certo grado di omogeneità, molti ebrei convertiti si sentono emarginati e si rivolgono spesso a micro-comunità online per conoscere persone affini. Artisti e scrittori si riversano ad esempio su Hevria, un hub online per ebrei creativi. Nel gruppo Facebook God Save Us From Your Opinion (che conta quasi 20.000 membri), ebrei ortodossi si riuniscono contro la discriminazione e il razzismo; su Torah Trumps Hate, ebrei ortodossi di sinistra si oppongono al sostegno di parte della loro comunità a Donald Trump.

La situazione è diversa per gli ebrei liberali: hanno meno figli e hanno sentimenti più ambivalenti nei confronti di Israele, con solo l’11% tra chi ha tra i 18 e i 34 anni che si definisce “molto attaccato” al proprio paese. Per molte organizzazioni, la sfida è interecettare questi giovani ebrei là dove si trovano: su Instagram. Il At The Well Project, che fonde spiritualità, femminismo e benessere, svolge gran parte del suo lavoro educativo attraverso la sua pagina Instagram. Modern Ritual, invece, è gestito da due donne rabbini che intervallano il materiale più esplicitamente ebraico con commenti sulla crisi e la diversità razziale.

Per i liberali c’è una spinta notevole nell’osservanza dello Shabbat, sebbene in versione modificata rispetto agli ortodossi. Friday è un’app su arti e cultura ebraica; Reboot oscura automaticamente lo schermo del telefono 30 minuti prima del tramonto di venerdì e fornisce istruzioni di meditazione; OneTable ha organizzato oltre 7.000 cene legate allo Shabbat negli Stati Uniti, con tanto di registrazioni audio di preghiere tradizionali.

E ancora, la Lab/Shul è una sinagoga alternativa pop-up incentrata sull’arte performativa a New York che trasmette in streaming i suoi servizi su YouTube, Facebook Live e il suo sito web. Per il prossimo anno sta preparando Partnerhood, una versione digitale di un abbonamento tradizionale alla sinagoga in cui le persone pagano una quota mensile per accedere ai suoi servizi. Lab/Shul lavora per assicurarsi che l’esperienza sia coinvolgente e partecipativa: utilizza più telecamere per creare un’atmosfera piacevole e chiede alle persone che guardano da casa di commentare tramite Facebook o YouTube durante i servizi. Poiché proietta i suoi siddurim, i testi di preghiera, su uno schermo nella parte anteriore del santuario, coloro che seguono in streaming possono partecipare più facilmente.

Una piccola riflessione a margine.

A dispetto dei tanti programmi di disintossicazione digitale non ebraica e delle tante app per limitare l’uso del telefono, lo Shabbat – con le sue fondamenta che hanno radici in una saggezza millenaria è la risposta ritualizzata perfetta al frenetismo contemporaneo.

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