Se oggi, per molti di noi il luogo in cui conservare i momenti migliori e i ricordi più cari è il nostro profilo Instagram, cinquant’anni fa la stessa funzione l’aveva l’album personale delle Polaroid. E a pensarci bene l’app Instagram è la sorella minore della pellicola Polaroid, ne ha inizialmente emulato l’aspetto: il logo – ve lo ricordate quello marrone con la lente della fotocamera al centro? – e la bacheca con le cornici bianche, e solo successivamente, crescendo, i due mondi si sono distinti sempre di più. La parentela è chiara ancora oggi. Se Instagram è nato con l’intento di imitare l’estetica della fotografia istantanea grazie ai filtri retrò e al formato quadrato, ora è Polaroid che deve il suo ritorno alla popolarità a Instagram, con cui ha in comune l’immediatezza e lo stimolo all’interazione sociale.
Dalla pellicola autosviluppante ai filtri digitali
Negli anni Settanta e Ottanta molti artisti – Andy Warhol, Helmut Newton, Keith Haring per citarne alcuni – scattavano fotografie istantanee per tenere traccia della loro vita personale fatta di partite a Monopoly e party eccentrici nei club newyorkesi. Gli artisti, abituati a essere i soggetti di paparazzi e fotografi professionisti, passavano dall’altra parte dell’obiettivo per collezionare ricordi e catturare le loro esperienze, che per noi oggi sembrano extraordinarie.
Per più di vent’anni – dal 1948 quando venne creata la Polaroid95, fino a quando, negli anni Settanta, anche Kodak entrò nel mercato delle pellicole autosviluppanti – la Polaroid Corporation è stata l’unica azienda a produrre macchine fotografiche istantanee. Si deve alla sua unicità e alla singolare creatività che sta dietro la nascita di questo particolare medium fotografico, il motivo per cui oggi ci si riferisce alla fotografia istantanea con il termine Polaroid, anche se esistono altri marchi che si muovo in questo ambiente. La Polaroid, quindi, è sempre stata il simbolo della spontaneità con cui si cercano di trattenere i momenti migliori della vita di tutti i giorni. Allo stesso modo, Instagram è diventato il luogo in cui ognuno di noi incornicia la versione più bella della propria realtà. Certo, oggi si seguono delle regole estetiche e le foto sono sempre più studiate e meno istantanee, ma lo scopo rimane sempre quello di poter sfogliare – o meglio: scrollare – il diario dei ricordi gioiosi o malinconici, vicini o lontani, che non sbiadiscono nel tempo.
Un altro aspetto della fotografia istantanea lo racconta al Guardian Wim Wenders, regista che aveva l’abitudine di scattare Polaroid quando visitava le location dei suoi film. Lui ricorda di aver fatto, durante la sua carriera, almeno 12mila foto, ma di averne conservate poco meno di un terzo, questo perché spesso le regalava alla persona che compariva sulla foto. Per lui, come per molti altri, la Polaroid era un oggetto da condividere, un ricordo fisico che apparteneva a chi stava vivendo l’esperienza: se per Wenders in quel momento l’obiettivo era visitare il futuro set, per l’altro invece l’istante vissuto stava tutto racchiuso in quella fotografia, e quindi aveva diritto a riceverla e conservarla.
Instagram a sua volta è l’emblema della condivisione: si posta la foto della vacanza e si taggano gli amici per spartire il ricordo dei momenti più felici, si condividono le vecchie immagini nelle stories per augurare buon compleanno all’amica di una vita, come a regalarle il pensiero di un passato condiviso, e si mette like agli scatti degli altri per mostrare di essere parte di un ambiente comune.
Dal feed da scrollare all’album da sfogliare
Ora che Instagram è parte integrante della vita digitale di 27 milioni di Italiani, Polaroid si incastra a pennello nello spazio fisico che rimane. La foto istantanea è facile da scattare, mostra un risultato immediato e, in più, regala la gratificazione materiale di un oggetto da conservare. Con la stessa rapidità di un clic sul cellulare, la macchinetta istantanea crea un artefatto carico di un valore ancora più potente. Nell’ultima versione poi, assieme alla fotocamera più recente, la OneStep+, si può collegare a un’applicazione con cui creare effetti speciali, scannerizzare le proprie foto e trovare ispirazione dagli altri utenti: l’integrazione analogico-digitale è diventata ancora più semplice.
Un esempio di come il design dell’applicazione abbia reinventato il modo di usare le fotografie istantanee è il Polaroid wall: una parete decorata con una griglia di foto che ricorda una bacheca di Instagram. Da disposizioni simmetriche e regolari fino a file di foto attaccate con le mollette alle lucine colorate, le immagini appese in camera diventano la versione fisica dei profili digitali che raccolgono i bei momenti, come facevano i vecchi album fotografici.
Dal ricordo privato all’esperienza condivisa
Da una parte la fotografia istantanea rimane connessa a un aspetto privato e amatoriale, la fotocamera è semplice da usare e non necessita di particolari conoscenze tecniche, molte sono colorate e hanno prezzi accessibili, come le Instax prodotte da Fujifilm. Sono oggetti creati apposta per sperimentare e giocare, spesso è sufficiente solo mettersi in posa e scattare e, anche se il risultato è fuori fuoco o un po’ sovraesposto, il suo valore sentimentale non ne è intaccato.
Dall’altra parte, però, è sempre più frequente veder riconosciuto il valore in ambito artistico delle foto istantanee. Tra le opere delle collezioni dei musei e le esposizioni, si trovano anche le Polaroid: da quelle del fotografo americano Robert Mapplethorpe che le usava come “bozzetti” per i suoi scatti, fino a quelle di Robby Müller, direttore della fotografia per alcuni registi negli anni Ottanta, che portava sempre con sé la sua macchinetta.
La Polaroid è stata quindi il precursore che ha aperto la strada alla condivisione dei ricordi personali sotto forma di immagini. È diventata l’icona della foto come espressione di ciò che è creato con il primario obiettivo di fermare e imprimere un’emozione privata, per poi trasformarsi in qualcosa che si desidera condividere, per poterne godere di nuovo.