Scuro Chiaro

Dal re portiricano del pop latino Luis Fonsi alla stella cubana Camila Cabello, la musica latina sta vivendo in questi ultimi anni un boom globale, forse come mai prima. Un genere questo che abbiamo imparato a conoscere con novità come “The Ketchup Song” e “La Macarena“, ma che oggi conosce un nuovo ventaglio di artisti e sonorità. Dall’ascesa meteorica di “Despacito” del sopra citato Luis Fonsi – la prima canzone in lingua spagnola a raggiungere un miliardo di ascolti su Spotify e la canzone più trasmessa in streaming del 2017 – a Beyoncé che canta “Mi Gente” all’evento Coachella nel 2018, il pop latino è un fenomeno mondiale che è destinato a crescere. Per lo più popolare tra gli ascoltatori ispanici – che rappresentano il 18% della popolazione americana – il pop latino sta ora dominando le radio tra il pubblico anglofono, che in genere sempre ha preferito la musica in lingua inglese.

Mentre ABBA, Phoenix e Shakira si sono piegati alla lungua inglese per prendere d’assalto il mercato anglofono, la giornalista colombiana Leila Cobo ha osservato in un pezzo di Billboard che artisti americani nuovi e affermati stanno fondendo la loro musica con le sonorità latine e il reggaeton per renderla più ballabile e accattivante. A partire dal 2018, la musica latina è il quinto genere musicale più popolare negli Stati Uniti, conquistando una quota del 9,4% del mercato nazionale rispetto all’8,7% della musica country. Grazie al nostro orecchio ormai addestrato ai ritmi latini, alla musica in lingua spagnola e alla cultura circostante, si apre un’enorme opportunità non solo per artisti ed etichette, ma per l’industria dei concerti, i distributori, i siti di streaming e le piattaforme di social media.

Il 2017 è stato un anno di svolta per la musica latina americana; i ricavi nella prima metà dell’anno sono cresciuti del 44% e del 15% nella prima metà del 2018, per un totale di 135 milioni di dollari, con lo streaming che ha rappresentato il 91% dell’intero mercato. Il critico musicale spagnolo Víctor Lenore ritiene che uno dei motivi principali della sua popolarità sia che non è più ascoltato solo in estate, ma tutto l’anno. Un altro fattore è la freschezza della musica stessa, mentre gran parte della musica anglofona è bloccata in un ciclo di retromania – una tendenza a riciclare i suoni dei decenni precedenti.

I consigli personalizzati di Spotify e le playlist Discover Weekly guidano in parte la diversità di voci. Solo negli ultimi anni, hanno rappresentato un aumento del 40% del numero di artisti che l’utente medio ha trasmesso in streaming al mese. In previsione del boom latino, il gigante dello streaming ha lanciato il suo podcast ¡Viva Latino! nel 2014, che è arrivata terza nelle migliori playlist di Spotify del 2018, dietro “Today’s Top Hits” e “RapCaviar” di Tuma Basa. È stata anche la prima playlist di Spotify a incorporare video in America Latina.

Come spiega qui Stephanie Fernandez, produttrice del podcast Alt.Latino di NPR, Spotify non è l’unica piattaforma che lavora per diffondere i ritmi latini. Tantissimi giovani dell’America Latina si sono rivolti ai servizi di streaming per il consumo, soprattutto YouTube, che è una piattaforma più egualitaria di Apple Music e Spotify. Tra l’altro, secondo Nielsen, l’età media nella comunità ispanica è di 27 anni, rispetto ai 42 anni delle loro controparti bianche non ispaniche. L’età giovane del mercato latino significa che la maggior parte di loro è molto a suo agio con la tecnologia. Gli utenti di questa fascia demografica trascorrono quasi 10,5 ore settimanali a utilizzare Internet sul proprio smartphone, rispetto alla media complessiva di 8,4.

Daniel Indart, originario dell’Argentina ma che ha trascorso anni viaggiando in America Latina, ha fondato la società di consulenza Latin Music Specialists (LMS) nei primi anni ’80 dopo aver notato un errore gigantesco nel film del 1981 di Raven Spielberg I predatori dell’arca perduta – una band di mariachi (dal Messico) suonando in una piazza (in Guatemala), mentre si esibiva una ballerina di flamenco (dalla Spagna). Ispirato, Indart ha iniziato ad adattare la musica alla geografia. La grande popolazione domenicana di New York lo portò a cercare musica dalla Repubblica Dominicana e, per i mercati texani, si rivolse alla musica Norteño, rigorosamente messicana. Insomma, con la sua società Indart sta educando sulla storia e sulla cultura della musica latina in modo da poter fare chiarezza e rompere i cliché. Rinsaldare gli aspetti culturali e musicali può attrarre i consumatori ispanici, che hanno meno probabilità di alzare gli occhi al cielo e cambiare canale se uno spettacolo presenta incongruenze.

In conclusione, il bilinguismo della popolazione ispanica moltiplica anche le opportunità di marketing. Detto questo, rappresentare accuratamente la cultura latina e combattere gli stereotipi negativi – in particolare in un clima politico di sentimenti anti-immigrazione da parte dell’amministrazione della Casa Bianca – è parte integrante del lavoro dei brand di intrattenimento, se vogliono sperare di catturare le nuove generazioni.

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