La creatività è qualcosa che consideriamo prerogativa unicamente umana, ma i nuovi sviluppi dell’intelligenza artificiale stanno portando grandi scossoni nel mondo dell’arte, della letteratura e della musica. Ispirati dal libro dallo studioso e divulgatore di fama internazionale Marcus Du Sautoy Il codice della creatività. Il mistero del pensiero umano al tempo dell’intelligenza artificiale (Rizzoli), abbiamo deciso di approfondire come l’apprendimento automatico sta già muovendo i suoi primi passi per espandere il nostro potenziale creativo.
Nel suo libro, Du Sautoy esplora come la creatività possa essere più algoritmica e basata su regole di quanto le persone potrebbero voler riconoscere – ripercorrendo i progressi compiuti negli ultimi anni dal machine learning, oltre a esaminare la natura profonda della creatività umana e a descrivere i processi matematici che vi sono implicati. Un esempio su tutti: in passato, i programmatori scrivevano codice e sapevano cosa doveva fare, ne avevano il controllo. Ora, il codice viene scritto in modo che possa imparare dai suoi errori, cambiare ed evolversi. Un apprendimento automatico, dal bassa verso l’alto. Non a casa solo lo scorso anno sono stati creati più dati rispetto agli ultimi 5000 anni.
In questo contesto, come osserva l’autore, abbinare la capacità del nostro cervello di decodificare le immagini visive è stato un ostacolo significativo per qualsiasi computer che vuole competere con l’intelligenza umana, benché gli usi del riconoscimento visivo stanno diventando sempre più sofisticati. I progressi non mancano. L’API di Google Cloud Vision, ad esempio, può classificare immagini, rilevare oggetti e volti, e riconoscere parole stampate all’interno di immagini. O ancora, alcune forze dell’ordine stanno iniziando a utilizzare il software di riconoscimento delle immagini con supporto intelligente per risolvere i crimini. Non è più fantascienza: queste applicazioni riflettono la crescita del mercato del riconoscimento delle immagini AI, che raggiungerà i 5,3 miliardi di dollari entro il 2024. Ma in un mondo dove la natura dell’apprendimento automatico sta cambiando così rapidamente, con quali nuovi modi la tecnologia può potenziare – o addirittura fingere – la creatività e l’arte visiva?
Tre anni fa, un team dei musei olandesi Mauritshuis e Rembrandthuis, insieme a Microsoft, ING e la Delft University of Technology, ha riunito 346 dipinti di Rembrandt e li ha digitalizzati mediante un algoritmo di apprendimento profondo. Dopo 18 mesi di analisi dei dati, il team ha mostrato un Rembrandt generato dall’intelligenza artificiale, che ha avuto oltre dieci milioni di menzioni su Twitter nei primi giorni. Il racconto del progetto è qui su The Next Rembrandt. Benché Du Sautoy creda che l’opera risultante abbia catturato qualcosa dello stile dell’artista e molti lo riconoscerebbero nella scuola di Rembrandt, il critico d’arte Jonathan Jones ha creduto fosse solo “una parodia orribile, insipida, insensibile e senz’anima“. L’intenzione di Microsoft con il progetto era semplicemente quella di dimostrare quanto fosse eccellente il suo codice.
La casa d’aste Christie ha venduto un dipinto generato dall’intelligenza artificiale dal collettivo francese Ovvio nell’ottobre 2018 per 432.500 dollari, guadagnando 40 volte il prezzo stimato. Al tempo stesso, Cloudpainter, un robot alimentato dall’intelligenza artificiale che ha vinto il Robot Art Award 2018, è stato ritenuto tecnicamente competente ma privo dell’elemento emotivo che consente alle persone di connettersi con l’arte a un livello più profondo.
Mentre i critici discutono sulla validità delle risposte emotive dell’arte generata dall’intelligenza artificiale, un’area della creatività in cui gli algoritmi hanno mostrato un valore significativo è la traduzione in scrittura, soprattutto giornalistica. Algoritmi come Wordsmith, Quill di Narrative Science e Radar stanno producendo storie basate sui dati. Succede anche al di fuori della saggistica: oggi è possibile che un algoritmo prenda l’intera opera di un autore e impari man mano il modo in cui scrive per creare materiale nuovo, spesso illuminante.
Botnik, fondata nel 2016 dalla scrittrice Jamie Brew e dal fumettista newyorkese Bob Mankoff, è una comunità di scrittori che usano la tecnologia per la scrittura di comedy. Il gruppo ha preso gli script di Seinfeld e prodotto nuovi episodi basati sull’analisi matematica del dialogo passato. E ancora, il film Sunspring è stato scritto da una rete neurale alimentata da centinaia di sceneggiature di fantascienza. Caratterizzato da un dialogo insensato che solo una macchina poteva generare, ha comunque suscitato curiosità nell’industria cinematografica e tecnologica, con vari critici che lo hanno elogiato come “stranamente divertente e commovente“.
Detto questo, i generatori di testi presentano comunque una complessa rete di problemi etici. Evidenziando tale problematica, la società di ricerca senza scopo di lucro OpenAI ha ritenuto il suo sistema GPT2 – che può scrivere con precisione narrativa e saggistica – troppo pericoloso per il rilascio pubblico in quanto potrebbe essere utilizzato per generare l’equivalente testuale dei deep fake. Al tempo stesso questa tecnologia può fare un passo nella direzione creativa.
L’agenzia londinese The & Partnership ha lavorato alla costruzione di una piattaforma che ha scritto la sceneggiatura di un annuncio Lexus di 60 secondi, con l’intelligenza artificiale addestrata per 15 anni tra annunci di auto e lusso vincitori dei Cannes Lions.
L’uso dell’intelligenza artificiale da parte di Huawei per completare la famosa Sinfonia n. 8 di Schubert ha ulteriormente dimostrato il potenziale della tecnologia per la creazione di arte, ma l’apprendimento automatico ha applicazioni più pratiche (almeno per ora) nel condizionare ciò che ascoltiamo e guardiamo. La marcata influenza culturale delle raccomandazioni algoritmiche, tuttavia, potrebbe rischiare di restringere di gusto.
Rimanendo sul tema musicale, il gruppo britannico Massive Attack ha creato l’app Fantom dove i fan potevano accedere al nuovo album della band solo scaricando l’app, che utilizzava un algoritmo per mescolare le tracce per ciascun utente in base a fattori quali la posizione, l’ora del giorno, la visualizzazione della telecamera, il battito cardiaco e il feed di Twitter. Lo scorso marzo, Warner Music è diventata la prima grande etichetta a firmare un contratto discografico con un algoritmo, capace di creare paesaggi sonori personalizzati per gli utenti a seconda delle loro esigenze. Allo stesso modo, l’Algorave utilizza algoritmi per coinvolgere la folla e aiutare i DJ a creare il sound che la farà ballare.
Come scrive Du Sautoy, forse alla fine l’intelligenza artificiale potrebbe aiutarci, come esseri umani, a comportarci meno come macchine.