Omosocialità è un termine sociologico che definisce un rapporto non romantico e non sessuale tra due individui dello stesso sesso. Nel caso dell’omosocialità maschile questo tipo di rapporti alimenta la distinzione tra uomini e donne nelle istituzioni sociali e alimenta anche una chiara gerarchia tra la mascolinità egemonica e le mascolinità non-egemoniche. La mascolinità egemonica è quella che fissa lo standard di confronto per tutte le altre e viene alimentata dall’omosocialità grazie a tre concetti fondamentali:
- Distacco emotivo: i ragazzi crescendo con la famiglia, iniziano a distaccarsi progressivamente dalla madre, sviluppando la propria identità di genere partendo dalla definizione di quello che non-sono.
- Competitività: la propria individualità si costruisce attraverso la competizione con altri uomini.
- Oggettificazione sessuale delle donne: relazionandosi con altri uomini l’individualità maschile è concettualizzata non solo come differente da quella femminile, ma soprattutto come migliore di quella femminile.
Questi concetti vengono utilizzati per supportare le identità maschili che rientrano nella mascolinità egemonica e sopprimere quelle opposte. La costruzione di un’identità è molto complessa e non può essere ridotta al solo processo di socializzazione. Ogni uomo incorpora le proprie esperienze personali con le istituzioni sociali che frequenta, i gruppi a cui sente di appartenere e il contesto storico in cui si trova. Alcuni dei significati appartenenti ad un’identità maschile possono rientrare nella mascolinità egemonica, altri non ne fanno parte. Nonostante ciò l’ideale sociale di maschio virile, di “vero” uomo, viene interiorizzato e utilizzato per comprendere quello che viene definito maschile a livello sociale, in rapporto con la propria personale identità di genere. L’idea che la mascolinità egemonica sia socialmente accettata e legittimata, ne alimenta il potere e sopprime le idee che potrebbero potenzialmente rovesciare l’egemonia esistente.
Nel 1992 Sharon R.Bird ha studiato lo sviluppo della mascolinità negli uomini, in rapporto al contesto omosociale. In una serie di interviste a uomini americani tra i 23 e i 50 anni ha cercato di comprendere lo sviluppo della mascolinità percepita e la relazione di questa con la concettualizzazione di sé stessi e la mascolinità egemonica. Tutti hanno sottolineato come gruppi esclusivamente maschili hanno avuto un impatto significativo sulla costruzione delle proprie credenze, attitudini e sui propri comportamenti.
La ricerca includeva anche una parte di osservazione diretta dell’interazione fra uomini in un contesto neutro come il bar dell’università. I tre punti comuni a tutte le interazioni che sono emersi sono appunto: distacco emotivo, competizione, oggettificazione sessuale delle donne.
Il modo di comportarsi tra maschi ci appare così “naturale” che raramente viene messo in discussione. La giustificazione “sono ragazzi” solo negli ultimi anni ha iniziato a ricevere delle critiche da una parte della società, ma a livello regionale è ancora fortemente utilizzata. Fin da piccoli i ragazzi si ritrovano in gruppo per fare “cose da maschi” che possono essere definite come “non fare le femmine”.
Ad esempio esprimere emozioni o sentimenti non è accettato in un gruppo maschile. Essere distaccati emotivamente è sinonimo di essere forti. La mascolinità egemonica alimenta ed è alimentata da questo sistema, perché non esprimere emozioni e nascondere la propria vulnerabilità è un modo per mantenere il controllo e il potere sugli altri. Così come competere l’uno con l’altro è importante per autodefinirsi fin da piccoli come uomini, anche chi non si definisce competitivo ne sostiene l’importanza per non essere escluso dal gruppo.
Da una parte delle interviste è emerso come alcuni uomini desiderassero un legame più intimo con la propria madre ad esempio, o ricercassero di tanto in tanto un supporto emotivo dai propri amici maschi. La cosa interessante che emerge però è che questi stessi uomini hanno definito sé stessi come non appartenenti allo standard dei “veri” uomini, perché lo standard resta quello fissato dalla mascolinità egemonica, anche da chi non si riconosce in questa e non intende farlo.