Scuro Chiaro

Eccezionale fotografo outdoor ed esperto storyteller, Federico Ravassard ama fotografare con qualsiasi apparecchio gli capiti sotto mano, meglio ancora se davanti a lui cʼè una persona con una storia da raccontare. Scia, scala e scatta. Federico scrive e crea progetti di narrazione per riviste e brand, ed è inolstre collaboratore fisso di Skialper, il magazine di riferimento in Italia sulla montagna. È a lui che abbiamo chiesto come è cambiato il nostro modo di vivere il viaggio, cosa distingue un fotografo professionista da uno amatoriale e, soprattutto, come l’estetica Instagram abbia influito in tutto questo. Buona lettura!

Partiamo dalla notizia che l’Antelope Canyon verrà bandito ai fotografi, e ci colleghiamo a una tua provocazione “Andiamo in un luogo perché vogliamo veramente visitarlo o perché desideriamo vivere l’esperienza di scattare anche noi “quella foto”?” Che risposta ti sei dato tu?

Negli ultimi anni il turismo è stato fortemente influenzato dai social network, che di fatto hanno creato mode verso certi luoghi piuttosto che altri, lo stesso è avvenuto, ad esempio, nella ristorazione: tanto più una meta o un locale sono facilmente “instagrammabili”, tanto più avrà successo. Scattare una foto e postarla è quindi diventata essa stessa un’esperienza di viaggio, al pari di praticare certe attività o gustare certi piatti locali. Ad esempio, come una volta si andava a Parigi per vedere la Gioconda, ora si va in Islanda per fotografare le cascate di Skógafoss.

Personalmente, come viaggiatore questo trend non mi dà troppo fastidio, se non che si creano letteralmente ingorghi in corrispondenza di certe vedute. Ma basta saperlo -semplicemente tramite i social- per evitarli e dirigersi verso mete forse meno fotogeniche ma di sicuro più vivibili. Come fotografo, invece, bisogna scindere le cose: è importante capire che una fotografia di Skógafoss non è arte, ma esperienza di viaggio, e assume quindi un altro valore. Non si sta facendo fotografia, ma turismo: non è un problema, semplicemente si tratta di due cose diverse ed è giusto fare questa distinzione. Se ti metto like su Instagram, probabilmente non ti sto dicendo “mi piace questa foto”, bensì “sono contento che tu abbia fatto questa esperienza”.

Marshall McLuhan scriveva che “il turista si limita a verificare le proprie reazioni di fronte a cose che gli sono da tempo familiari e scattare a sua volta delle foto”. In che modo, a tuo avviso, l’estetica di Instagram in particolare sta influenzando il nostro modo di viaggiare?

Parzialmente ti ho già risposto nella domanda precedente. Una forte tendenza che vedo su Instagram è la voglia di ritrarre grandi spazi selvaggi, con un’estetica che sembra nata da un incrocio fra un hipster e Thoreau. Ma siccome stiamo parlando, nella maggior parte dei casi, di persone “normali” certi luoghi per diventare alla moda devono comunque essere facilmente accessibili: la potremmo chiamare domestic wilderness. Un esempio su tutti, il Lago di Braies: si parcheggia l’auto, si camminano poche decine di metri e davanti a noi si apre un paesaggio che potrebbe essere uscito da The Revenant.

I luoghi divenuti popolari grazie a Instagram sembrano avere caratteristiche comuni: oltre all’apparente natura selvaggia e alla loro accessibilità, devono già essere presenti nel nostro immaginario e presentare scorci riconoscibili, come ad esempio la classica vista della montagna Vinicunca, in Perù. Fotograficamente parlando, sono tutte situazioni “facili”: bastano i colori e i paesaggi a mettere le basi per una buona fotografia che di sicuro appagherà il turista, che quindi anche con poche competenze avrà di sicuro la sua cartolina da mostrare agli amici.

Lo stesso vale per alcuni ristoranti di moda oggi: sono economicamente accessibili e piatti e interni sembrano essere studiati apposta per venire bene in foto, con un’estetica apparentemente familiare e palette di colori che ricordano, appunto, l’iconografia hipster. Consumare la portata significa, oltre a mangiarla effettivamente, anche fotografarla, in un contesto che garantisce di sicuro un risultato esteticamente gradevole.

Il digitale ci permette di ottenere foto esteticamente accettabili in pochi secondi. A volte, scattiamo ancora prima di aver assaporato un luogo. Ma per un fotografo professionista, quanto incide il tempo che ci si prende prima di uno scatto perfetto?

La differenza principale tra un fotografo professionista e un viaggiatore, oltre all’attrezzatura (ma non sempre, anzi, capita spesso che in viaggio i fotoamatori abbiano corredi superiori ai pro), è probabilmente lo studio che precede lo scatto, il cui tipo varia in base al genere. Un paesaggista tenderà a ricercare le condizioni di luce più favorevoli, magari portandosi sulla location già nei giorni precedenti per un sopralluogo o informandosi su siti e portali meteo. Chi lavora più sul reportage, invece, vorrà entrerà in contatto con lo spirito del luogo per capirlo e per individuare quali caratteristiche raccontarne attraverso le fotografie, magari lasciando trascorrere alcune ore o addirittura giorni prima di scattare.

A differenza del turista, solitamente un fotografo non scatta in modo casuale, ma ha un’idea più o meno chiara del risultato che vuole portarsi a casa. Immaginiamo la scena di una peschereccio all’alba: alcuni fotografi si concentreranno unicamente sulle luci riflesse nell’acqua, altri sui volti dei pescatori, altri ancora si gireranno dall’altra parte per fotografare le spiagge che si tuffano nel mare. Il turista invece cercherà di fotografare un po’ tutte queste scene, senza focalizzarsi veramente veramente su una di esse.

Che cosa significa per te raccontare un luogo per immagini? Senti di essere influenzato da estetiche particolari?

Per me raccontare un luogo per immagini significa soprattutto concentrarmi sul rapporto che si instaura tra l’uomo e l’ambiente circostante, fotografando scene di attività umana strettamente legate a quel determinato contesto. Non per forza i soggetti devono essere abitanti locali, ma anche viaggiatori che stanno effettivamente interagendo con quei luoghi, anziché limitarsi a osservarli da un punto di vista esterno quale quello di un turista mordi e fuggi. Da un punto di vista estetico, mi impongo di cercare inquadrature originali, semplicemente chiedendomi se da qualche parte ho già visto quell’immagine o meno. Mi piacciono molto le scene pulite, con pochi colori forti e soggetti ben definiti. Nel creare un portfolio cerco di organizzare le fotografie che ho scattato in una serie che riesca a raccontare sia il contesto generale che i piccoli dettagli.

Infine, ci sono profili Instagram legati al viaggio e alla fotografia che vale la pena frequentare?

A questa domanda è difficile rispondere in modo sintetico! Ad ogni modo, posso segnalarti alcuni dei miei profili preferiti, dai quali cerco di trarre ispirazione. Alcuni lavorano in analogico, altri in digitale; ce ne sono di più orientati alle città, altri invece verso la natura.

@russell_holliday, fotografo di surf
@sebzanella, anche concentrato su surf e lifestyle
@doytcheva, specializzato nella fotografia con i droni sul massiccio del Monte Bianco
@alexstrohl, le sue composizioni e i suoi colori mi fanno impazzire
@ladzinski, fotografo del National Geographic molto poliedrico
@pancrazi, fotografo di architettura bravissimo a giocare con linee e colori
@forestwoodward, tra azione e lifestyle
@zachtheleon, reportage di viaggio classico

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