Che cosa significa avere fede oggi? I social possano togliere sacralità alla religione? Quali sono le occasioni di dialogo tra Chiesa e digitale? Che la chiave di tutto sia il mettersi in ascolto?
Ne abbiamo parlato con Don Luca Peyron. Coordinatore del servizio per l’Apostolato Digitale, Don Luca insegna teologia dell’innovazione all’Università Cattolica di Milano e tiene un corso di spiritualità delle tecnologie emergenti all’Università di Torino.
È stato davvero interessante. Come sempre, buona lettura.
Don Luca, in che modo il digitale man mano ha cambiato l’approccio alla fede delle persone? Che cosa significa avere fede al tempo del web?
Il digitale ha modificato radicalmente tutto ciò che è mediazione e percezione della realtà interiore ed esteriore, dunque la fede ne è investita pienamente. Credere si basa sul riconoscimento di un Altro, sulla relazione con Lui e tra le persone, sulla generatività di un Dio chiamato Padre e sul superamento del limite apparentemente assoluto che è la morte. La dematerializzazione della realtà confonde i nostri capisaldi come la corporeità trasformata nella sua immagine, la relazione che diventa connessione, i verbi tipici del credere allineati su nuovi paradigmi come salvare, convertire, giustificare e condividere!
Avere fede al tempo del web significa non dimenticare che il fine giudica i mezzi e dunque i mezzi non devono distrarre dal fine e non ogni mezzo è adatto al fine. Tra apocalittici ed integrati, peraltro termini del lessico religioso, vale il criterio che guida i cristiani da sempre, l’et et. Gesù è vero Dio e vero uomo, dunque ciò che autenticamente umano è autenticamente divino. Credere oggi significa discernere ciò che è umano ed umanizzante da ciò che non lo è pur sembrandolo.
Molti hanno paura che i social media possano togliere sacralità alla religione. Qual è il tuo punto di vista?
Sacro significa riservato, uno spazio, un oggetto, un tempo che si mette da parte per qualche cosa di più importante, di ulteriore, di sostanziale e sostanziante. Una chiesa, una preghiera, un rito, un’immagine, una persona nel momento in cui media una presenza. I social in sé non possono togliere sacralità a nulla, posso piuttosto banalizzare ogni espressione dell’umano mercificandola, diluendone i significati, deprivando di senso i gesti che danno senso al nostro quotidiano. Oppure, a contrario, possono far emergere la grandezza e la bellezza dell’essere umani. Un uso ineducato di uno strumento può impoverire chi siamo, un uso accorto e intelligente esaltare e magnificare lo spirito umano.
Ridurre la comunicazione a pochi caratteri, eliminare il testo in luogo dell’immagine, ridurre l’immagine stessa a evanescenza contingentata nel tempo, ci impoverisce nella nostra capacità di esprimere la nostra ricchezza interiore. Quanto provo rispetto a una persona può essere limitato da una pur ampia gamma di emoticon? La vera sacralità che è messa in discussione è quella dell’umano stesso, non dimenticando che al centro del suo cuore abita il Divino e che l’essere umano in quanto tale è immagine e somiglianza di Dio.
L’iniziativa Teologia al pub è la dimostrazione che non è così impossibile avvicinare i giovani alla fede, basta volerlo (e andare là dove loro sono!). Come è nata questa idea?
Il nostro intento non è tanto quello di avvicinare i giovani alla fede, ma quello di stare accanto a chiunque lo voglia nello scoprire il senso della vita, delle paure, dell’amore. Cristo si è incarnato e ha camminato lungo le strade del mondo, a partire dalle periferie, non per offrire un prodotto o cercare di assoldare una compagnia, ma per ascoltare e restituire una dimensione del vivere che fosse all’altezza di una creatura voluta e cercate per amore, l’essere umano. La Teologia al pub non è altro che la continuazione naturale di quello che ogni giorno tentiamo di fare ad esempio negli atenei: pensare con lode.
Il pub è uno dei tanti luoghi in cui le persone parlano di ciò che conta, noi offriamo una presenza su cui contare, anche lì. L’idea è nata da uno dei tanti dialoghi fatti proprio in pub una sera d’estate e dalla constatazione che le persone attorno a noi ci ascoltavano, dunque perché non rendere la cosa da furtiva palese? La cultura digitale ci sta abituando al fatto che siano le macchine a dirci cosa sia vero e validato, la fede propone come vero una persona, Cristo, la sua parola, il suo percorso di vita, la sua divino umanità. Da Alexa al Logos fatto carne, anche davanti a una birretta.
Rivoluzione digitale e Chiesa: a chi si rivolge Apostolato digitale? Qual è la squadra dietro a questo articolato progetto?
Papa Francesco e i vescovi raccolti con lui a Roma in occasione del recente sinodo sui giovani ha chiesto di avere un occhio di predilezione per il mondo digitale. Il Servizio per l’Apostolato digitale di Torino è la risposta a questo desiderio e a questa attenzione. Si configura come un pensatoio intergenerazionale in cui, attorno ad adulti significativi in aree specifiche di saperi connessi al digitale, si aggregano studenti e neo laureati per pensare, progettare, mettere parola e condividere saperi con altre persone.
Il focus non sono l’intelligenza artificiale o i social, ma come questi impattano su alcune macro aree fondamentali: verità, fede, giustizia, identità, libertà e sicurezza. Il futuro del nostro lavoro lo vediamo come creazione di momenti di formazione e disseminazione di conoscenza, alla stregua della terza missione dei nostri atenei, valorizzando tanto l’aspetto intergenerazionale quanto il background valoriale delle persone.
Ci sono altre iniziative, a Torino e nel resto dell’Italia (o del mondo!), che vale la pena conoscere su digitale e Chiesa?
La Chiesa Cattolica sente come connaturale al suo mandato occuparsi di questi temi. Già in seno all’assise del Concilio Vaticano II che ha disegnato sul finire degli anni ’60 la Chiesa di oggi e di domani, è stato forte l’invito ad accompagnare l’umanità in questa avventura. In ordine di tempo l’ultima iniziativa è stata la chiamata a raccolta a Roma in Vaticano dei grandi del digitale per firmare insieme una carta etica sull’intelligenza artificiale. Da piazza S. Pietro alle nostre parrocchie insomma c’è un fermento interessante volto a creare quante più occasioni possibili di dialogo e confronto su questi temi.
Erroneamente si pensa che la dimensione religiosa non afferisca alla modernità o che debba essere relegata solo a un ambito strettamente personale. Invece, e a ben pensare, tutto la dimensione religiosa permette al dibattito su questi temi di allargare lo sguardo anche al di là del mero dato tecnico, delle interessenze politiche ed economiche sino alla prossimità con tutti gli uomini, con tutto l’essere umano, forse il grande tema dichiarato ma non compiutamente affrontato nella rivoluzione digitale.