Dal luglio 2020 è online Hypercritic, la prima piattaforma che connette tutti i mondi culturali e artistici in uno spazio digitale condiviso. È il progetto principale di RAMPART SRL, incubatore, aggregatore e acceleratore di progetti culturali. Come raccontato sul sito web, le fondamenta di Hypercritic sono cooperazione e racconto. Musica, libri, film, videogames, moda, sport, opere d’arte, architetture, paesaggio gastronomia, ristoranti, spettacoli, riti e tradizioni su Hypercritic diventano tasselli di un grande archivio interattivo, un labirinto di relazioni in continuo mutamento tra oggetti e esperienze culturali di epoche e luoghi diversi.
Il cuore di ogni record è l’Hypergraph®, una rappresentazione visiva della sua anatomia. L’Hypergraph è progettato per rimuovere quanta più soggettività possibile dalla valutazione critica. Lo fa attraverso un panel di esperti che misurano la presenza più o meno forte di una serie di parametri, universali e intuitivi, che caratterizzano la fruizione di quell’oggetto. Il risultato è una figura che elimina la soggettività del giudizio, un’infografica che è il ritratto dell’opera o esperienza analizzata. In questo modo chiunque, in pochi secondi, può capirne le peculiarità e decidere se approfondire o cercare altro. E così, ne volevamo sapere di più!
Abbiamo chiacchierato con Giulia Avataneo, giornalista fra l’Italia e la Francia, appassionata di corsa e di viaggi. Dopo la laurea in Comunicazione a Torino e la gavetta nelle TV locali, inizia a collaborare con l’Ansa, Afp, La7 e Euronews. Insegna al Master in giornalismo Giorgio Bocca di Torino e all’Istituto Europeo di Design. Dal 2020 dirige Hypercritic con l’entusiasmo di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. E con Clara Gastaldi, da sempre con la Mole sullo sfondo, quando non è davanti a uno schermo, ha le mani in un impasto o insegna e racconta di cibo e vino. Alla scrittura preferisce l’editing, non sa dire di no al Guillaume Tell di Rossini e alla Robiola di Roccaverano. Diventare vicedirettrice di Hypercritic è stato il suo turning point.
Come nasce il progetto di Hypercritic e come segna la differenza rispetto a qualsiasi altra piattaforma?
GA: Il cuore di Hypercritic – che la rende diversa da ogni altra piattaforma – è la capacità di mettere in relazione discipline diverse e mescolare cultura alta e pop, valorizzando influenze e contaminazioni. Hypercritic è un progetto coltivato da Alessandro Avataneo, founder e CEO (e mio fratello – rigorosamente per ordine d’importanza), per più di dieci anni. A luglio 2020 il sito web è andato online, nel pieno della pandemia, e si è rivelato da subito un luogo ideale per mantenere viva la cultura nei lunghi mesi di lockdown. Oggi vi lavorano 70 tra creativi e informatici di sette nazionalità diverse.
CG: Hypercritic è uno spazio libero e aperto, sia per chi legge sia per chi collabora. Senza pubblicità e algoritmi, navigare sulla nostra piattaforma permette alle persone di poter decidere cosa fare, come sentirsi e scegliere cosa piace in base ai propri gusti e non per qualche influenza esterna. Le persone che collaborano con noi, durante le riunioni editoriali, possono proporre qualsiasi contenuto, mainstream o di nicchia, creando connessioni con altri mondi culturali e portando un punto di vista nuovo o poco noto sull’argomento.
In che modo viene fatta la selezione di cosa raccontare? E quali sono i parametri di classificazione?
GA: Seguiamo un doppio registro: da una parte siamo vicini all’attualità e alle sue tensioni culturali, collegati però con il patrimonio culturale mondiale di oggi e del passato. In questo ambito si collocano anche le coperture giornalistiche di festival, mostre ed eventi che decidiamo di seguire. Nel frattempo lavoriamo per completare il nostro archivio con le pietre miliari che non possono mancare per ogni disciplina.
CG: Nella collection, ossia nella parte di piattaforma in cui cataloghiamo e raccontiamo gli oggetti artistici e culturali – libri, film, serie tv, videogames, eventi sportivi, …-, ogni elemento è classificato attraverso tre modalità. Le coppie di switch, che rispondono alle domande – consce o inconsce – che ci poniamo quando vogliamo fare un’esperienza. L’Hypergraph, un’infografica ideata per definire l’anatomia dell’oggetto: attraverso dieci parametri, permette di codificare, senza giudizi o punteggi, quell’oggetto, e far capire se è quello che siamo cercando. Infine, ultima funzionalità lanciata con la nuova piattaforma di hypercritic.org, ogni esperienza è caratterizzata dagli stati d’animo che suscita. Una giornata difficile? In pochi click, possiamo cercare qualcosa di piccolo/veloce/semplice, accessibile, che faccia ridere e sentire innamorati. Ecco che così scopriamo dei racconti scritti dal creatore di BoJack Horseman oppure una puntata speciale di Will & Grace.
In breve, quali sono gli obiettivi concreti che si pone davanti la direzione e redazione di Hypercritic?
GA: Il principale – e di utilità più pratica – è di far risparmiare tempo ai lettori e lettrici. Sappiamo per esperienza quanto sia frustrante passare una serata sfogliando i cataloghi delle piattaforme streaming senza trovare qualcosa che ci interessa. Hypercritic offre una bussola per orientarsi in un ambiente sovraccarico di informazioni e influenze pubblicitarie: grazie a una rete di autori che scrivono delle loro passioni, può aiutare in pochi minuti a scoprire l’esperienza culturale che fa per noi.
CG: E in aggiunta a questo, uno dei nostri obiettivi è quello di essere sempre più presenti durante eventi, festival, rassegne, non importa se grandi o piccole, per noi è fondamentale conoscere e fare esperienza in queste iniziative, entrare in contatto con nuovi mondi e raccontarli con il nostro metodo.
Da qui a cinque anni, quali sono gli scenari futuri che sperate per il progetto?
GA: Mi piacerebbe creare una squadra sempre più vasta e diversa, in cui ognuno racconti ciò che sente vicino. In questo modo potremo disegnare online un vasto affresco della cultura mondiale, in cui le arti che si trovano nei musei e quelle di nicchia possano avere pari dignità. Vorrei provocare un piccolo (ma sano) shock nella critica culturale, per spostare il fulcro dell’attenzione da chi scrive le recensioni a chi legge, offrendo un servizio pubblico come una biblioteca o un archivio.
CG: Hypercritic può diventare una fonte attendibile e autorevole a livello europeo e internazionale. Questo grazie al metodo, che silenzia le voci egoriferite, e ai talenti e il sapere di tutti i nostri collaboratori, fattori che sommati valorizzano l’arte, la cultura e chi ci legge.
È possibile collaborare nella scrittura dei record? Se doveste delineare il ritratto del vostro redattore ideale?
GA: Certo, è possibile collaborare candidandosi a info@hypercritic.org. Il profilo del redattore o redattrice ideale è chiunque abbia una competenza forte su una nicchia culturale, ma anche voglia di mettersi in gioco imparando un metodo e confrontandosi con un gruppo di lavoro che raccoglie le discipline più diverse, per scoprire collegamenti inediti e sorprendenti.
CG: Persone attente e capaci di chiedersi il perché delle cose. Alla base di tutto ci sono l’ascolto e la comunicazione, essenziali per poter lavorare in gruppo, come ha detto Giulia, e anche poter intercettare alcuni aspetti del mondo che ci circonda. Il ritratto dell’Hypercritic ideale è una persona onnivora dal punto di vista artistico-culturale, attiva nella ricerca di novità e progettualità da proporre, che pensa in grande e allo stesso tempo realizza contenuti originali, capaci di far scoprire qualcosa di nuovo o far vedere qualcosa di conosciuto con un altro punto di vista.
Ci sono record ai quali siete particolarmente – e personalmente – legate?
GA: Fra i più ispirati ho trovato History Project di Kathy Jetñil-Kijiner, un’autrice e performer delle isole Marshall che ha usato la poesia per raccontare l’impatto dei test nucleari avvenuti nella sua regione nel 1946. Un esempio di come una forma lirica come la poesia possa alzare il velo sui crimini contro l’ambiente e l’umanità. E che su Hypercritic è stato messo in relazione con la recente serie HBO Chernobyl. Poi per l’influenza culturale delle opere aggiungo L’attacco dei giganti e i Watchmen, ma anche Il Cavaliere oscuro, trattato come allegoria dell’11 settembre.
CG: Ogni record ha la sua storia, più o meno travagliata, e molti custodiscono aneddoti anche legati al making of. Dal record su The Catcher in the Rye, scritto da Alessandro Avataneo in occasione del lancio della piattaforma, al primo di Comics, dallo speciale su Alien realizzato da Davide Tiberga in occasione dell’85° compleanno di Ridley Scott, dal pezzo sull’opera Can’t Help Myself, diventato virale grazie a TikTok, a quello sul Ritratto di Elizabeth Drexel Lehr di Boldini, che è stato citato in un articolo sul New York Times.
E rispetto alle Exhibition?
GA: Le Exhibitions sono un formato originale di Hypercritic che proponiamo in partnership con istituzioni museali, organizzazioni culturali e anche aziende, per creare percorsi tematici che si possono visitare online. Sono organizzate come una mostra multimediale, suddivisa per temi che si possono visitare come le sale di un museo. Anche in questo caso il fulcro di tutto sono i collegamenti che gli autori riescono a creare, attingendo dall’intero patrimonio globale.
CG: Sono uno strumento innovativo, sia per l’esperienza offerta a chi ci legge, sia per la facilità con cui riusciamo a creare nuovi contenuti. A oggi abbiamo iniziato con quelle che definiamo exhibition impossibili, come quella dedicata al centesimo anniversario della morte di Marcel Proust – realizzata in collaborazione con Ilaria Gaspari e il Musée Carnavalet -, e più usiamo questo strumento e più ne scopriamo nuove possibilità, le potenzialità sono infinite. Hypercritic, sbizzarritevi!
Infine, domanda obbligata. Prossimi progetti in vista?
GA: Lavoreremo per portare Hypercritic sempre più nello spazio fisico. Lo abbiamo fatto lo scorso anno con la serata finale della nostra Maratona Poetica “Songs to read” alla Scuola Holden e con il nostro primo Microfestival, la rassegna più piccola al mondo che si è svolta nei giorni del Salone del Libro nel cortile della libreria Borgopò di Torino. Uno scenario magico, dove abbiamo proiettato film sulle lenzuola stese e tracciato percorsi culturali interdisciplinari in stile Hypercritic. Le reazioni sono state molto incoraggianti e ci hanno spinto a potenziare questo format. Poi abbiamo in mente di creare un’accademia di giornalismo culturale in cui umanisti, informatici e data scientist possano lavorare insieme, per esplorare nuove forme di fruizione culturale.
CG: Perfezionare la nuova piattaforma con l’agenzia Tembo, consolidare sempre più ciò che abbiamo e aprire nuove sezioni – fotografia, fashion, performing arts, ma anche restaurants, wines e heritage. Un altro grande progetto in cantiere si chiama Change: raccontare storie di cambiamento per far conoscere queste realtà, ispirare e innescare altri processi di cambiamento. Obiettivi ambiziosi, ma che grazie alla nostra squadra di editor, collaboratori, e rete di partner sappiamo di poterli raggiungere.