L’integrazione della ricerca etnografica con i metodi digitali offre un potenziale enorme per le aziende. Il marketing tradizionale si basa su dati quantitativi come numeri, sondaggi e statistiche per individuare il target di riferimento, analizzare le tendenze di mercato e sviluppare strategie di vendita efficaci. Tuttavia, questa impostazione, pur solida, risulta spesso insufficiente per cogliere le motivazioni profonde che guidano le scelte di consumo. È qui che l’etnografia digitale entra in gioco, arricchendo il quadro di informazioni più qualitative che consentono di comprendere il perché dietro i numeri.
L’etnografia digitale, infatti, esplora comportamenti, percezioni, usi e costumi dei consumatori attraverso l’analisi di dati raccolti da forum, blog, social network e altre piattaforme online. Tali informazioni consentono di ottenere una visione più ampia delle abitudini, delle emozioni e delle associazioni culturali legate a un prodotto o a un marchio, elementi spesso trascurati dai metodi di ricerca quantitativa. Così facendo, le aziende possono non solo progettare strategie di marketing più empatiche e autentiche, ma anche ottimizzare la comunicazione, anticipare esigenze latenti e adattare il proprio approccio alle aspettative del mercato.
Uno dei primi esempi celebri di etnografia digitale risale al 2010, quando l’azienda di collutori Listerine commissionò uno studio al CTO Michael Osofsky dell’agenzia californiana NetBase. Lo scopo era esplorare le percezioni dei consumatori e le modalità d’uso del prodotto, andando oltre i dati demografici e i feedback tradizionali. Quello che emerse fu sorprendente. Analizzando conversazioni su forum, blog e microblog, il team di ricerca notò che molti utenti associavano il colore fluorescente del collutorio a immagini particolari, come quella degli alieni, il che evocava una percezione in qualche modo “artificiale” del prodotto. Altri utenti facevano riferimento al forte odore del collutorio, associandolo all’odore della casa dei nonni, un richiamo nostalgico ma potenzialmente ambiguo per un prodotto di igiene orale.
La scoperta più eclatante, tuttavia, fu che il collutorio Listerine non veniva utilizzato soltanto per sciacquare la bocca, ma anche per una serie di usi completamente estranei a quelli previsti. Alcuni consumatori, infatti, impiegavano il collutorio come rimedio contro l’acne, repellente per zanzare e persino come antimicotico per i piedi. Questa rivelazione generò non poche riflessioni all’interno dell’azienda, poiché un prodotto concepito per l’igiene orale era percepito come un disinfettante multifunzione. Il rischio di compromettere l’immagine di Listerine come collutorio era reale: per chi usa il prodotto in bocca, la percezione di un prodotto “disinfettante” poteva risultare inquietante.
In risposta a queste scoperte, Listerine si trovò a dover ripensare la propria strategia di marketing e comunicazione. Lo studio sottolineò l’importanza di guidare la percezione del consumatore, enfatizzando gli aspetti di freschezza e igiene piuttosto che quelli di “potere disinfettante”. Inoltre, dimostrò quanto sia essenziale, per le aziende, monitorare e comprendere le associazioni culturali e simboliche che i consumatori attribuiscono ai loro prodotti.
Dopo aver osservato i comportamenti e le modalità d’uso inusuali del collutorio Listerine, il team di ricerca si concentrò su un altro aspetto fondamentale: il sentiment dei consumatori online. Analizzando forum e social media, i ricercatori cercarono di comprendere come i consumatori si sentivano riguardo al prodotto, esplorando opinioni, critiche e percezioni diffuse, in particolare tra i Millennial. Questa generazione comprendeva un target particolarmente rilevante per il brand, essendo una fascia d’età aperta alle novità ma anche attenta alla qualità e alla sicurezza dei prodotti di consumo.
In questa fase di ascolto del sentiment, emerse una lamentela ricorrente: il gusto del collutorio. La maggior parte dei consumatori descriveva il sapore di Listerine come troppo forte e pungente, attribuendo questa percezione alla notevole presenza di alcool. Per i giovani, molti dei quali portavano piercing sulla lingua, questo aspetto risultava addirittura fastidioso, provocando una sensazione di bruciore. Inoltre, in alcuni casi, i consumatori riportavano effetti collaterali legati all’uso del prodotto: c’era chi sosteneva che il collutorio con alcool contribuisse al russare notturno, mentre altri andavano oltre, definendolo “tossico” e potenzialmente dannoso.
La pressione negativa intorno alla percezione dell’alcool nel prodotto spinse Listerine a riconsiderare il proprio approccio e a trovare una soluzione che rispondesse alle preoccupazioni dei consumatori. Solo pochi mesi dopo la raccolta di queste osservazioni, l’azienda lanciò sul mercato una nuova linea di collutori: Listerine Zero. Questa variante era priva di alcool, con un gusto più delicato e una composizione che appariva ai consumatori come più naturale e sicura. La scelta di eliminare l’alcool rappresentava una risposta diretta alle esigenze del target, ma anche un esempio di adattamento strategico basato sull’ascolto attento del sentiment e delle percezioni del consumatore.
Il lancio di Listerine Zero non fu solo un’innovazione di prodotto, ma un vero e proprio cambio di paradigma per il brand. Dimostrò come il monitoraggio delle opinioni online, integrato con un approccio etnografico, possa fornire insight preziosi che vanno oltre i semplici dati quantitativi. Listerine riuscì così a modificare la propria immagine, rispondendo a una domanda di maggiore delicatezza e sicurezza, e guadagnando la fiducia di consumatori che in precedenza avevano espresso dubbi o perplessità.
I documenti del case study sono qui.