Negli anni Quaranta, mentre la Walt Disney Company era impegnata nello sviluppo di Disneyland, il primo parco a tema della compagnia che sarebbe stato inaugurato nel 1955, un team di creativi e ingegneri lavorava a stretto contatto per dare vita a un nuovo concetto di intrattenimento. Il loro ruolo era di “Imagineer“, un termine coniato proprio dalla Disney, che unisce le parole “imagination” (immaginazione) e “engineer” (ingegnere). In italiano, il termine potrebbe essere tradotto come “ingegnere della fantasia”. Alla Disney lavoro degli Imagineer non si limitava solo all’aspetto ingegneristico, ma integrava anche narrazione, design e innovazione tecnologica per creare un mondo che fosse al tempo stesso realistico e magico. Questa filosofia di progettazione, conosciuta come Imagineering, non solo rivoluzionò l’industria del divertimento, ma divenne anche un modello di riferimento per altri campi, come i Futures Studies.
Un metodo combinatorio di progettazione
Nell’ambito dei Futures Studies, l’Imagineering è una metodologia che invita a esplorare e progettare il futuro in modo ludico e creativo, mescolando la fantasia con le conoscenze teoriche e pratiche. L’obiettivo è andare oltre le analisi convenzionali delle tendenze attuali per immaginare scenari futuri alternativi e realistici. Spesso, movimenti culturali e artistici, giochi di ruolo, film, fumetti, romanzi e racconti già pubblicati – appartenenti a generi come fantasy, fantascienza, narrativa speculativa e steampunk – vengono utilizzati come fonte di ispirazione per questo processo. Questi strumenti offrono spunti immaginativi che permettono di estendere il pensiero oltre i limiti del presente, creando visioni del futuro che non solo affascinano, ma che possono anche stimolare soluzioni innovative per le sfide del mondo reale.
In questo contesto, l’Imagineering diventa un vero e proprio strumento di progettazione futuristica, dove l’immaginazione non è solo un fine creativo, ma un mezzo per esplorare nuovi orizzonti, sperimentare idee radicali e trovare modi innovativi di affrontare le complessità del futuro. È un approccio che non teme di osare, spingendo la creatività al massimo per trasformare visioni utopistiche o distopiche in possibilità concrete, aprendo così la strada a nuove prospettive e soluzioni in vari campi, dall’urbanistica alla tecnologia, dall’educazione al design sociale.
Un’applicazione nella causa climatica
Il cambiamento climatico è senza dubbio una delle questioni più studiate e dibattute degli ultimi decenni, e non sorprende che la produzione culturale – dai film ai romanzi, dalle serie TV ai documentari – abbia contribuito enormemente a plasmare la nostra percezione di ciò che potrebbe accadere in futuro. La narrazione popolare, infatti, ci ha spesso messo di fronte a scenari di catastrofi naturali estreme, trasformando le forze della natura in potenti strumenti di riflessione collettiva. Basti pensare a film come Twister (1996), che ci ha trascinato nella caccia all’uragano perfetto, o a Geostorm (2017), dove i disastri climatici fuori controllo mettono a rischio la sopravvivenza del pianeta. Anche nel più surreale dei B-movie, come Sharknado (2013), con i suoi assurdi cicloni carichi di squali feroci, il tema del disastro naturale diventa comunque un’occasione per intrattenere, ma anche per riflettere sulle conseguenze di un mondo in crisi.
Ciò che è cambiato, tuttavia, è il modo in cui oggi ci relazioniamo a queste narrazioni. Un tempo, gli scenari distopici o catastrofici ci apparivano come puri esercizi di fantasia, ambientati lontano dalla nostra realtà quotidiana e spesso localizzati in contesti specifici, come le grandi pianure degli Stati Uniti o altre aree “remote”. Oggi, invece, abbiamo una consapevolezza diversa: sappiamo che gli eventi climatici estremi non sono più confinati a una dimensione immaginaria o lontana, ma fanno parte della nostra vita, delle nostre città, delle nostre comunità. Le tempeste, le ondate di calore, le inondazioni e i cambiamenti imprevedibili del clima ci toccano da vicino, diventando segnali concreti di un presente che anticipa futuri possibili. E anche se i tornado di squali rimangono, fortunatamente, pura fantasia, il messaggio di fondo è chiaro: il cambiamento climatico non è più una minaccia astratta o distante, ma un fenomeno reale e tangibile che riguarda tutti.
Questi racconti, spesso estremizzati, offrono un linguaggio visuale e narrativo che ci permette di elaborare le nostre paure, comprendere meglio il presente e, soprattutto, immaginare cosa potrebbe accadere in un futuro non troppo lontano. A differenza del passato, oggi siamo armati di conoscenze concrete: sappiamo che l’aumento delle temperature globali, lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione e l’innalzamento del livello del mare sono fenomeni documentati e in costante accelerazione. Di conseguenza, quando guardiamo film catastrofici o leggiamo storie di disastri climatici, la nostra percezione è cambiata: non li vediamo solo come fantasia o intrattenimento, ma anche come una sorta di avvertimento, una lente attraverso cui osservare le conseguenze delle nostre azioni sul pianeta.
Dall’Imagineering alla narrativa specultativa
All’inizio del 2022, uno dei film più visti su Netflix è stato Don’t Look Up, una satira pungente che mette in luce l’approccio indolente e irresponsabile dell’umanità di fronte a crisi globali come il cambiamento climatico. Questo film, diretto da Adam McKay, usa la metafora di una cometa in rotta di collisione con la Terra per rappresentare la nostra incapacità di affrontare le emergenze ambientali, trasmettendo un messaggio chiaro: non possiamo più ignorare i segnali del disastro. Al di là della sua natura distopica o ironica, il film ha sollevato discussioni profonde sull’urgenza di agire e su come spesso preferiamo distogliere lo sguardo dalle catastrofi imminenti, anche quando le prove sono sotto i nostri occhi.
Non è solo una questione di intrattenimento, ma di una crescente consapevolezza sociale che sta spingendo le storie futuristiche, sia distopiche che utopiche, a guadagnare popolarità e rilevanza. Margaret Atwood, con il suo termine “ustopico” – una fusione tra utopia e distopia – ci invita a considerare che il futuro non è mai completamente buono o cattivo, ma piuttosto una mescolanza di possibilità, molte delle quali sono ormai scientificamente plausibili. Le narrazioni speculative che riguardano il cambiamento climatico, in particolare, stanno vivendo una rinascita proprio perché il pubblico è sempre più consapevole delle conseguenze reali delle crisi ambientali in corso.
Un esempio emblematico di questo è Dune, il pianeta sabbioso creato dalla mente di Frank Herbert e poi portato sul grande schermo da Denis Villeneuve, che ha trionfato agli Oscar del 2022 con sei statuette. L’ambientazione di Dune è un mondo in cui la scarsità d’acqua e le condizioni climatiche estreme sono centrali nella trama; una metafora potente delle sfide che potremmo trovarci ad affrontare sulla Terra. Questi racconti “ecopocalittici” – un termine che sottolinea l’inevitabile collisione tra ecologia e apocalisse – stanno rapidamente diventando più di semplici esercizi di evasione. Si pongono come strumenti di riflessione collettiva che corrono parallelamente alla realtà e spingono gli spettatori a considerare la fragilità del nostro pianeta. La linea di demarcazione tra la finzione e il futuro si sta assottigliando, e ciò che una volta poteva sembrare solo una visione lontana oggi appare sempre più plausibile.
Non dobbiamo guardare troppo lontano per trovare esempi di come la narrativa abbia anticipato o rispecchiato le preoccupazioni attuali. La cli-fi (climate fiction), un genere che si concentra sui temi del cambiamento climatico, ha già prodotto opere classiche come La Parabola del Seminatore di Octavia E. Butler, pubblicata nel 1993, che dipinge un’America devastata dalla crisi ambientale e dalle disuguaglianze sociali. Oppure Il mondo sommerso di J.G. Ballard, un romanzo del 1962 che anticipava gli effetti disastrosi dello scioglimento delle calotte polari. Queste storie, benché datate, sembrano oggi incredibilmente attuali, come se gli autori avessero previsto con inquietante precisione gli effetti del riscaldamento globale e delle catastrofi ambientali.
Non solo futuri apocalittici
Molti romanzi contemporanei, anche quelli che non appartengono strettamente al genere fantascientifico, affrontano il tema delle crisi ambientali e sociali, mostrando come queste influenzino profondamente le relazioni umane. Un esempio è Dove sei, mondo bello di Sally Rooney, in cui i protagonisti, Millennial alle prese con un’età adulta ancora incerta, si trovano immersi in un contesto sociale ed economico segnato da disuguaglianze sistemiche, emergenze sanitarie e l’incombente minaccia dei cambiamenti climatici. Mentre i personaggi navigano la complessità dei sentimenti e delle loro connessioni interpersonali, il sistema capitalistico dominante – con tutte le sue conseguenze peggiori, come lo sfruttamento sociale, la crisi ambientale e la morte termica dell’universo – fa da sfondo oppressivo, rendendo il futuro incerto e spesso angosciante.
Ma non tutte le narrazioni immaginano un futuro apocalittico. Accanto alle visioni distopiche, c’è spazio per correnti letterarie e artistiche che offrono scenari ottimistici e rigenerativi, come il solarpunk. Nato online e basato sia sull’arte visiva che sulla narrativa speculativa, si distingue per la sua visione del futuro in cui scienza, tecnologia ed ecologia si fondono armoniosamente. A differenza delle classiche utopie o distopie, il solarpunk immagina un progresso consapevole e sostenibile, dove l’innovazione tecnologica non è nemica della natura, ma piuttosto un alleato che permette all’umanità di raggiungere un equilibrio con l’ambiente e la propria biologia.
Il manifesto italiano del solarpunk descrive questo movimento come un interprete di sentimenti e richieste che mirano a un progresso collettivo e organico, equo, ecologico e inclusivo. Esprime una visione politica complessa e aperta, ma chiara, che si oppone a forme di oppressione come il capitalismo, il patriarcato e il razzismo, abbracciando al contempo il femminismo, l’anarchismo e l’ecologismo. Piuttosto che predicare un “ritorno alla natura”, il solarpunk promuove una visione di futuro dove l’umanità, grazie a un uso trasparente e democratico della tecnologia, può svilupparsi in modo sostenibile, mantenendo un rapporto equilibrato con il pianeta.
In conclusione
Così come gli Imagineer della Disney hanno saputo fondere creatività e ingegno per trasformare la fantasia in esperienze tangibili, oggi possiamo applicare lo stesso approccio al nostro rapporto con il futuro. La narrativa speculativa, le visioni ottimistiche del solarpunk e le riflessioni sull’ecopocalisse sono tutti strumenti che, se utilizzati con saggezza, possono aiutarci a immaginare un mondo diverso, dove tecnologia, ecologia e giustizia sociale convivono armoniosamente. Il futuro non è scritto, e attraverso l’Imagineering possiamo renderlo non solo plausibile, ma anche desiderabile.