La rappresentazione tradizionale di passato, presente e futuro è spesso una linea retta che si estende in avanti, per poi dissolversi in un tratteggio indefinito. Tuttavia, questa immagine statica non riflette appieno la realtà del concetto di futuro, che non è una semplice continuazione lineare del passato e del presente. Al contrario, è una dimensione fluida, in costante evoluzione. Il futuro si modella e si trasforma, e le sue forme sono tanto diverse quanto le percezioni che ne hanno gli individui.
Alcuni vedono il futuro come un destino ineluttabile, una strada già tracciata che non possiamo cambiare, indipendentemente dalle nostre scelte: è il regno del caso o della predestinazione. Tutto accade perché deve accadere, e il nostro agire o non agire ha poca o nessuna influenza sugli eventi. Per la maggior parte delle persone, però, il futuro è in parte aperto: sebbene alcune circostanze siano fuori dal nostro controllo, le azioni passate e presenti contribuiscono a determinare in che direzione si muoveranno le cose. È una visione più equilibrata, dove il libero arbitrio si intreccia con l’inevitabile.
Gli esperti di Futures Studies, invece, abbracciano una visione ancora più radicale: per loro, il futuro è interamente aperto. Non c’è nulla di predeterminato. Ogni singolo evento può manifestarsi, e le possibilità sono infinite. Da qui nasce l’importanza del verbo “immaginare” quando si parla di futuro. Immaginare significa esplorare tutte le potenzialità, prevedibili e imprevedibili, plausibili e fantastiche, ottimistiche o catastrofiche. È un atto creativo e speculativo che ci invita a riflettere su cosa potrebbe cambiare da qui a stasera, al prossimo Natale, o tra dieci anni.
Ma come si può davvero immaginare il futuro? È una domanda che tutti, prima o poi, ci poniamo. Esistono due principali approcci per farlo: le previsioni e le proiezioni. Le previsioni cercano di anticipare ciò che è più probabile accada, basandosi su tendenze attuali e dati disponibili. Le proiezioni, d’altra parte, allargano lo spettro delle possibilità, spingendo l’immaginazione verso scenari alternativi e ipotetici. In questo modo, possiamo non solo prevedere il futuro, ma anche influenzarlo e plasmarlo, trasformando l’ignoto in un campo fertile di opportunità. Immaginare il futuro, dunque, non è solo un esercizio di fantasia, ma un atto di responsabilità verso ciò che potremmo diventare e creare. Ci sono due strade.
Fare previsioni
La prima strada conduce alla realizzazione di previsioni, un approccio che si basa sull’analisi rigorosa del contesto attuale e dei dati disponibili per formulare ipotesi su eventi futuri. Un esempio emblematico di questo metodo è offerto dall’ISTAT nel suo report “Previsioni della popolazione residente e delle famiglie 2022“, dove si delineano i possibili cambiamenti demografici dell’Italia. Secondo le stime, la popolazione passerà dagli attuali 59 milioni di persone a circa 46 milioni nel 2080. Questo calo significativo si accompagna a cifre impressionanti: nel periodo, si prevede che avverranno 21,5 milioni di nascite, 44,9 milioni di decessi, e che vi saranno 18,3 milioni di immigrati dall’estero, a fronte di 8,2 milioni di emigrati.
Nonostante la solidità dei dati e delle analisi alla base di queste previsioni, lo stesso Istituto Nazionale di Statistica avverte sulla fragilità di tali scenari. Sebbene basate sui dati più accurati e attendibili disponibili, le previsioni demografiche restano ipotesi soggette a incertezza, come sottolineato dall’ISTAT:
“nello scenario più attendibile, quindi, il volto della popolazione muta radicalmente, e non solo per una questione dovuta all’estensione dell’orizzonte previsivo. In che misura possa accadere tale trasformazione dipende dall’incertezza associata alle varie ipotesi sul futuro comportamento demografico, ma non fino al punto di riportare in equilibrio l’odierna distanza tra nascite e decessi.”
Tale dichiarazione mette in evidenza un aspetto cruciale delle previsioni: per quanto possano essere dettagliate e supportate da dati concreti, esisterà sempre un margine di imprevedibilità, un elemento che sfugge al controllo, talvolta irrilevante dal punto di vista statistico, ma altre volte capace di influenzare profondamente gli sviluppi futuri. Ecco perché, nonostante l’importanza delle previsioni, è fondamentale mantenere una certa apertura verso l’imprevisto, consapevoli che il futuro non è mai completamente scritto.
Paradossalmente, anche l’astrologia si cimenta nel racconto del futuro, proponendo un metodo di previsione che si fonda su un complesso di credenze legate all’influenza che le posizioni e i movimenti dei corpi celesti avrebbero sugli eventi individuali e collettivi. Che si creda o meno all’oroscopo è, in fondo, secondario: ciò che conta è il metodo. L’astrologia, infatti, si avvale delle effemeridi, tabelle che anticipano con precisione le future posizioni degli astri, grazie al calcolo di coordinate e parametri orbitali. Questo ci permette, ad esempio, di prevedere con assoluta certezza fenomeni astronomici come le eclissi solari, come quelle che saranno visibili dall’Italia il 29 marzo 2025, il 12 agosto 2026 e il 2 agosto 2027.
A questi eventi astronomici, l’astrologia sovrappone un livello interpretativo ulteriore: attribuisce a ogni pianeta, e ai loro transiti, un significato specifico, intrecciando i dati futuri con quelli personali, come la data e l’ora di nascita di chi pone una domanda. È così che, quando Mercurio entra in retrogradazione – un fenomeno ciclico in cui il pianeta sembra muoversi all’indietro rispetto alla Terra – l’astrologia ci “avverte” che potremmo dover affrontare ritardi, malintesi o problemi di comunicazione.
Tuttavia, l’interpretazione diventa ancora più dettagliata se si considera l’ora di nascita della persona, poiché ogni transito planetario potrebbe influenzare aree specifiche della sua vita quotidiana. L’astrologia, dunque, formula delle previsioni che non si limitano alla mera osservazione astronomica, ma intrecciano simbolismi e interpretazioni, costruendo racconti ipotetici sui possibili sviluppi futuri.
Fare proiezioni
La seconda strada, invece, conduce alla creazione di proiezioni, un percorso che trasforma l’immaginazione in scrittura, dando vita a mondi e universi narrativi, che si tratti di una serie TV, di un romanzo o persino del concepimento di un nuovo brand. L’etimologia del verbo “proiettare” ci rimanda al latino tardo proiectare, che significa “gettare in avanti”. E per raccontare il futuro, in questo caso non si fa altro che lanciare in avanti lo sguardo, oltre l’orizzonte del presente.
Se l’obiettivo delle previsioni è cercare di descrivere ciò che con maggiore probabilità accadrà, le proiezioni ci invitano a costruire storie plausibili, ma ambientate in scenari futuri ipotetici e predefiniti. La differenza risiede nella libertà creativa: proiettare il futuro significa esplorare non solo cosa potrebbe essere, ma anche cosa potrebbe diventare, spingendo l’immaginazione verso nuove possibilità.
Immaginiamo, ad esempio, di catapultarci nel 2105: il livello di inquinamento sulla Terra è ormai insostenibile, la superficie del pianeta è soffocata dai rifiuti, e i pochi esseri umani superstiti si sono rifugiati su un’enorme astronave nello spazio. Settecento anni dopo, il solo “abitante” rimasto sulla Terra è un piccolo robot, incaricato di ripulire l’ambiente ormai devastato. Abbiamo appena creato uno scenario futuro che, sebbene possa sembrare assurdo, non è così inimmaginabile.
Questo è esattamente il tipo di visione che Andrew Stanton ha trasformato nell’universo narrativo alla base del nono lungometraggio Pixar, WALL•E. In questo mondo futuristico, i robot hanno preso il controllo delle operazioni quotidiane mentre gli esseri umani, diventati pigri e obesi, si spostano su poltrone fluttuanti e comunicano solo attraverso schermi olografici. Se riflettiamo, quanto siamo davvero lontani da questa visione? La tecnologia avanza a un ritmo vertiginoso, e le nostre abitudini di vita si stanno già trasformando in modi che solo pochi decenni fa sembravano fantascienza.
Le proiezioni ci offrono, dunque, la libertà di sperimentare e immaginare futuri alternativi, non tanto per prevedere ciò che sarà, ma per esplorare ciò che potrebbe essere. E questo atto creativo ci permette di giocare con le possibilità, dandoci uno spazio sicuro in cui interrogare i nostri desideri, le nostre paure e le nostre speranze per ciò che verrà.