È curioso come gli standard dello specialty coffee si siano diffusi in tutto il mondo, fino a raggiungere anche l’Australia, e dando vita a un movimento davvero globale che esalta la qualità e l’attenzione ai dettagli nel consumo di caffè. Oggi, non è raro che i consumatori australiani richiedano caffè monorigine e metodi di preparazione scientifici, ormai considerati standard. Nonostante il consumo di caffè in Australia sia inferiore a quello dei paesi nordici come Finlandia e Norvegia, dove si registrano tassi tra i più alti al mondo, l’Australia si distingue per la qualità piuttosto che per la quantità. La nazione è ormai considerata una delle mete principali per il caffè d’eccellenza, con baristi premiati, torrefattori indipendenti e un processo produttivo ben curato che parte dal chicco e arriva fino alla tazzina.
Incredibile, forse per noi italiani, ma vero. In realtà, l’amore dell’Australia per il caffè ha radici profonde e si sviluppa sin dagli anni del dopoguerra, quando una grande ondata migratoria italiana e greca ha portato con sé le macchine per l’espresso e la tradizione del caffè scuro e intenso. Sono dunque proprio gli immigrati ad aver contribuito a plasmare la cultura del caffè australiano, introducendo sapori e abitudini che si sono poi diffusi e consolidati soprattutto nelle città di Melbourne e Victoria, già segnate dalla passione per il caffè fin dal periodo della corsa all’oro nel tardo 1800.
La sociologa australiana Emma Felton, autrice del libro Filtered che esplora le culture del caffè a livello globale nel ventesimo secolo, racconta ad esempio come la forza dell’industria del caffè in Australia risieda nella predominanza delle piccole imprese. E infatti, la moderna Australia, essendo una nazione multietnica, ha una tradizione di piccole attività fondate da migranti che, trovandosi esclusi dai settori pubblici a causa di discriminazioni linguistiche e razziali, si sono trovati a importare un pezzo della loro cultura. Fu proprio grazie a queste piccole caffetterie e torrefazioni indipendenti che la popolazione australiana, a partire dagli anni Cunquanta, ha iniziato ad apprezzare il caffè di qualità. Tale evoluzione ha portato a una situazione peculiare nel 2008, quando Starbucks ha chiuso la maggior parte dei suoi 90 punti vendita nel paese, incapace di competere con l’ampia offerta di caffè specializzati locali.
Curiosamente, Starbucks ha poi integrato alcuni aspetti della cultura del caffè indipendente nel proprio modello, tra cui il famoso “flat white”, una bevanda cremosa e corposa originaria dell’Australia – o della Nuova Zelanda, a seconda della versione della storia. Per molti esperti del settore, il caffè australiano è così influente da essere diventato uno standard di riferimento internazionale.
La diffusione del caffè australiano e del suo modello di eccellenza riflette una tendenza culturale più ampia, in cui milioni di consumatori esplorano nuovi gusti e tendenze attraverso viaggi e dispositivi digitali. La pandemia ha accelerato la digitalizzazione e ha uniformato i gusti a livello internazionale, spingendo anche a una riscoperta delle tradizioni locali in ambito gastronomico e culturale. Il caffè all’australiana rappresenta un esempio di questo fenomeno.
La cultura del caffè in Australia è spesso descritta come “del nuovo mondo” o “terza ondata,” espressioni utilizzate anche per i viticoltori in paesi come gli Stati Uniti, il Sudafrica e la Nuova Zelanda. La storia relativamente recente della colonizzazione bianca in Australia ha fatto sì che le tradizioni culinarie, i gusti e i sapori siano ancora in fase di sviluppo e sperimentazione, un processo in cui l’origine multiculturale del paese gioca un ruolo fondamentale.
Questa mentalità aperta alla sperimentazione si traduce in una vivace innovazione anche nel mondo del caffè. Nella parte ovest di Sydney, due torrefazioni di caffè offrono tour guidati e degustazioni abbinate a piatti studiati per esaltare i sapori del caffè. Altre caffetterie come ONA Sydney e Toby’s Estate propongono un’offerta esclusiva di caffè “riserva” e praticano una tecnica insolita per conservare i chicchi: li congelano interi, rallentando il processo di invecchiamento per mantenerne la freschezza più a lungo. La pratica, sebbene inusuale in molti paesi, è perfettamente in linea con le aspettative degli australiani. Il successo del modello australiano di caffè “terza ondata” è dunque un mix di sperimentazione e di apprezzamento per la qualità.
Con una maggiore conoscenza di diverse varietà di chicchi e tipi di tostatura, molte persone hanno scelto di dotarsi di macchine per espresso a casa, cercando di ricreare l’esperienza del caffè di “terza ondata” nelle proprie cucine. Questa tendenza si allinea a un più ampio movimento di sperimentazione culinaria domestica, che ha visto molti cimentarsi nella preparazione di pane fatto in casa e pasta fresca. Anche i supermercati hanno dato un impulso significativo a questa tendenza, collaborando con torrefattori locali per offrire miscele speciali direttamente sugli scaffali. Giganti della distribuzione australiana come Aldi, Woolworths e Coles hanno stretto accordi con torrefattori locali per creare linee di caffè speciali; al contempo, marchi indipendenti di caffè d’eccellenza hanno iniziato a produrre miscele pensate appositamente per i supermercati.
Infine, con l’aumento del consumo di caffè è cresciuto anche l’interesse verso i contenuti sul caffè. Figure come Morgan Ekroth, campionessa statunitense di caffetteria nel 2022 e creatrice del popolare account Instagram @morgandrinkscoffee, offrono uno sguardo dietro le quinte del mondo dei baristi a oltre un milione di follower. Anche James Hoffman, esperto di caffè e autore di libri sul tema, educa il pubblico su argomenti che spaziano dall’attrezzatura alla storia del caffè. Da tenere d’occhio.