Ci sono persone che, più che professionisti, sembrano delle leggende metropolitane del loro settore. Antonio Losito è uno di loro. Avete presente quelle storie che iniziano con “Ma lo sai che quello ha scritto anche quella cosa lì?” e continuano con una lista di successi che sembra un curriculum collettivo? Ecco, Antonio è così.
Autore per più di 300 prime e seconde serate su Rai, Mediaset e Sky, dal varietà classico al surreale di Una Pezza di Lundini, passando per il cabaret di Zelig, la satira caustica della Gialappa’s e la stand-up comedy, ha trasformato il dietro le quinte della televisione italiana in un palcoscenico di creatività esplosiva. Ma non è tutto. Non contento di conquistare lo schermo, si è lanciato anche nel mondo del podcasting con Tyranny, una satira geniale che nel 2021 è stata il podcast più ascoltato su Spotify in Italia e che continua a far parlare di sé. Nel frattempo, ha firmato branded content per brand (come questo che racconta i discorsi che hanno cambiato l’umanità o questo riguardo sei storie di donne cancellate dalla storia) e scritto Diventa un Tiranno, un libro che riesce nell’impresa di trasformare le peggiori pagine della storia umana in lezioni di autoironia, oltre che in una guida surreale per aspiranti despoti.
Antonio Losito è un uomo che vive sul confine sottile tra il serio e il faceto, tra il pensiero filosofico (e in effetti tra le tante cose è laureato in Filosofia) e la battuta fulminante. Il suo approccio alla comicità e alla scrittura non si limita a strappare risate: usa l’ironia per riflettere, scardinare luoghi comuni e gettare luce sui meccanismi del potere, dell’intrattenimento e della società. In questa intervista con noi di BUNS esploreremo cosa significa scrivere per il piccolo schermo, per il grande pubblico e per sé stessi. Parleremo di come la comicità possa essere una chiave di lettura potente per il nostro tempo, di quanto sudore c’è dietro una battuta che dura tre secondi e di cosa succede quando si cerca di far ridere chi, magari, non ha voglia di ridere.
Scrivere per la televisione è un po’ come essere il batterista di una band: fondamentale, ma spesso invisibile. Come si riesce a mantenere l’equilibrio tra l’ego dell’autore e quello degli artisti in scena? E quale momento “dietro le quinte” ricordi come il più assurdo o surreale?
Esatto, l’autore è un po’ il biondino degli 883. Sta alle spalle dei famosi e tutti si chiedono “ma chi è?”. Io sono a mio agio nel ballare inutilmente alle spalle dei famosi. Il mio godimento arriva da una battuta scritta per un artista e dal vedere che quella battuta è giusta per lui e, soprattutto, per il suo pubblico. Se inizi a voler imporre un punto di vista al comico o a desiderare la popolarità di un artista Dio ti sta dicendo qualcosa.
Il momento più assurdo dietro le quinte? Per un programma comico dovevamo seguire un matrimonio. A casa della sposa non riuscivamo a fare le riprese perché ovunque c’erano busti di Mussolini. Oggi è socialmente accettabile ma nel 2014 non lo era. Fuori dalla chiesa accade la tragedia: il fotografo terrorizza gli sposi dicendo che le nostre telecamere stavano impallando gli scatti nuziali. Notizia smentita dal fact-checking col regista. Ma come tutti i fact-checking era inutile, la bufala vince sempre. Le lacrime della sposa reazionaria fomentano i 250 invitati dotati di risvoltini, abiti alla Bad Bunny e taglio alla Kim Jong-un. Inizia la caccia all’uomo televisivo. Il produttore scappa fingendo un crollo psicologico, noi autori fuggiamo nei boschi della villa con poche speranze di vita. Ricordate l’operazione Argo della Cia del ’79 per liberare gli americani dall’ambasciata a Teheran? Ecco, un dirigente della rete mette in piedi un’impresa simile. Siamo usciti nascosti nel retro del furgone del catering, tra casse di Primitivo e tagliatelle alla ki-te-murt.
Dicono che il comico deve sempre stare “out of the box”, ma la televisione è notoriamente una scatola (con schermo piatto, per giunta). Come si fa a creare comicità davvero originale in un mezzo che tende a standardizzare tutto?
LOL è un buon esempio, io ho fatto l’autore per la quinta edizione che uscirà nel 2025. Lo show ha avuto successo grazie all’originalità del format. Comici popolari insieme per ore in un comedy reality, con l’obiettivo di non ridere. È il classico gioco che tutti abbiamo fatto da bambini. Un format pensato da un giapponese che ha conquistato il gusto di tantissimi paesi nel mondo. Quando riesci in un’impresa simile secondo me sei un antropologo, non un autore.
Ti sei laureato in Filosofia: quando scrivi una battuta, senti mai Kant e Nietzsche litigare sulla tua spalla destra? Qual è il collegamento più improbabile che hai trovato tra un pensatore e uno sketch comico?
Il collegamento più improbabile? C’è una storia che mi ha sempre fatto volare. Alessandro Magno in poco più di 10 anni aveva soggiogato gli attuali Egitto, Turchia, Siria, Israele, Palestina, Libano, Giordania, Iran, Iran e un pezzo dell’attuale Pakistan. Era uno che andava in battaglia con una copia annotata dell’Iliade. Le note di chi erano? Di Aristotele, il suo precettore. All’epoca politici e filosofi facevano a gara per recarsi da Alessandro e omaggiarlo. Sono andati tutti, tranne Diogene. Il ghosting del filosofo greco fa impazzire Alessandro Magno che un giorno decide di fargli visita. Lo racconta Plutarco. Diogene era sdraiato al sole. L’imperatore, con un mix di riverenza e megalomania, gli domanda: “Quale desiderio posso realizzare per te?”. Digione: “Levati, mi fai ombra”. Alessandro Magno avrebbe potuto farlo a pezzi e metterlo nella bourguignon. Ma non lo fa perché quella risposta sfacciata e ironica aumenterà la stima nei suoi confronti.
Insegni la stand-up comedy e i meccanismi del far ridere. Qual è l’errore più comune che vedi fare agli aspiranti comici? E qual è stato il tuo più grande flop comico, quello che oggi ricordi ridendo?
Viviamo un’era in cui elencare i propri fallimenti rende molto umile una persona con un ego immenso. A me non piace elencare i flop perché ne ho fatti tanti (oddio, ho un ego immenso!) e me ne vergogno ancora oggi. Io sono arrivato a cancellare dal cv alcuni programmi. Spacciati per show di intrattenimento, erano delle debacle antropologiche. Roba per cui sarei dovuto scappare a Dubai e iniziare a fare truffe con le criptovalute. Quindi non vi dirò mai il mio più grande flop perché non mi rappresenta. O forse perché mi rappresenta.
I due errori più comuni degli aspiranti comici sono: 1) testare i pezzi nella propria bolla 2) formarsi coi comedian americani che vedono su Tiktok o Netflix e pensare di emulare la loro comicità. Noi siamo latini, i motivi per cui gli italiani ridono non sono gli stessi degli anglosassoni. Nemmeno gli stessi degli altri popoli latini. Ad esempio, i messicani e gli argentini hanno delle scuole di black humour che a me piacciono tantissimo ma che qui non funzionerebbero sul grande pubblico. Di solito alla prima lezione leggo questo consiglio di Robin Williams (che non cantava nei Take That):
“Per far ridere la gente è necessario sapere cosa pensa su quel tema, sempre. Sapere qual è la verità percepita, prima di poterla sovvertire. Una battuta funziona se coglie di sorpresa. Bisogna capire cosa la gente si aspetta e cosa no prima di poterla sorprendere con l’inaspettato.”
Cambiando discorso… Maduro che parla con gli uccelli, Gheddafi che usa tecniche da spogliarellista per il consenso: la realtà supera di gran lunga la fantasia. Qual è la storia vera che hai scoperto durante la stesura del libro Diventa un Tiranno che ti ha fatto esclamare: “No, dai, questa non può essere vera!”?
Kim jong-un che per andare a Disneyland usa un passaporto falso di nazionalità brasiliana. Ho pubblicato le foto dei documenti sul mio Instagram.
Infine, nel tuo libro parli di tiranni moderni che flirtano con i social media. Se potessi creare un profilo TikTok per un tiranno storico, chi sceglieresti? E quali contenuti pubblicheresti?
Il tiranno ceceno Kadyrov perché usa i droni per mostrare i suoi palazzi di marmo e oro che sembrano un frontale tra De Chirico e Rita De Crescenzo, la mia tiktoker preferita. Come social media manager consiglio Teddy Nguema, figlio del tiranno più longevo in attività. Spesso viene in Italia a flexare barche, soldi e hashtag senza senso.