Il lato umano e umanistico dell’AI
Nel corso degli ultimi anni, l’intelligenza artificiale, la robotica e le tecnologie neurali hanno fatto dei passi da gigante, generando un cocktail di entusiasmo e preoccupazione nella società. Alcuni lo chiamano “ansia da AI”, ma la verità è che, di fronte a tutto questo cambiamento, è difficile non essere un po’ preoccupati. Mentre il progresso tecnologico avanza a una velocità vertiginosa, cresce anche la sensazione che l’umanità stia per essere scalzata dal suo posto d’onore nel mondo, mentre le macchine si preparano a prendere il sopravvento. E se non ci bastassero i timori legati al lavoro (dove si prevede che milioni di posti possano essere sostituiti dall’automazione), adesso ci sono le relazioni romantiche a essere messe in discussione: app che promettono di farci sentire “accuditi” e “compresi” potrebbero cambiare il modo in cui ci connettiamo con gli altri, sfidando le dinamiche stesse dell’amore. Per non parlare delle religioni.
Eppure, mentre ci prepariamo a fare i conti con questi scenari distopici, L’Algoritmo di Babele. Storie e miti dell’intelligenza artificiale (Solferino) di Andrea Colamedici e Simone Arcagni – che abbiamo già avuto ospite qui su BUNS in passato – offre un’analisi affascinante e sorprendentemente leggera dell’intelligenza artificiale, che va ben oltre la semplice parte tecnica. Già, perché questo libro non è un manuale su come usare l’IA o su come evitare che ci rubi il lavoro, ma una riflessione culturale e filosofica sull’impatto di queste tecnologie sulla nostra vita quotidiana, sulla nostra percezione del mondo e sul nostro posto nel futuro. Dunque, niente ansia da AI qui: il libro scivola con disinvoltura tra miti, filosofia e cultura pop, riuscendo ad essere profondo senza essere noioso, stimolante senza sembrare ideologico.
I profili dei due autori sono poi una garanzia. Andrea Colamedici è filosofo, editore e fondatore di Tlon, la nota casa editrice e factory culturale. Insegna Prompt Thinking allo IED di Roma ed è assegnista di ricerca in Intelligenza Artificiale e Sistemi di Pensiero all’Università di Foggia. È direttore filosofico del Festival del Pensare Contemporaneo di Piacenza e docente al corso Artificial Intelligence for Leaders della 24ORE Business School. Simone Arcagni, invece, è professore all’Università IULM di Milano, giornalista e consulente su media e cultura digitale. Collabora con Il Sole 24 Ore, FilmTV e Digital World (Rai). Ed è anche consulente scientifico per ANICA e dirige OnLive Campus e il Metalab di Napoli. Tra i suoi libri: Visioni Digitali, L’Occhio della Macchina e La Zona Oscura. Ecco cosa ci raccontano.
Miti e filosofia: la Torre di Babele
“L’algoritmo di Babele, così come la torre, è un simbolo che unisce la spinta tecnologica e l’accumulo dei saperi, diventando una sfida e una minaccia inaggirabile.” (introduzione, p.7)
Tutto ha inizio da una riflessione sulla Torre di Babele, il simbolo per eccellenza della comunicazione umana che va in pezzi, dell’ambizione che supera i limiti e della confusione che ne segue. Colamedici e Arcagni ci raccontano come l’algoritmo – il cuore pulsante della tecnologia odierna – assomigli proprio a quella torre: da un lato, ci offre nuove opportunità, ma dall’altro, ci minaccia con la sua potenza incontrollata. E infatti, l’intelligenza artificiale può portare a una conoscenza più vasta e profonda, ma potrebbe anche spezzarci in mille tesserine.
Gli autori si avventurano anche nel terreno più mitologico, traendone spunti sorprendenti. La figura di Prometeo, per esempio, viene riletto alla luce dell’intelligenza artificiale come il “furto del fuoco” degli dei. Perché sì, ci piace immaginare di essere dei moderni Prometeo, che portano la luce della conoscenza, ma la domanda che ci sorge spontanea è: cosa succede se finiamo per bruciarci con quel fuoco?
Niente di nuovo sotto il sole
Che poi, le AI e i robot non sono fatto solo di oggi. Gli automi, in particolare, come quelli descritti nella mitologia greca, dalla creazione di Efesto fino a Talos, sono da sempre immagini affascinanti e inquietanti di esseri artificiali che imitano l’uomo. Queste macchine, spesso più grandi o più potenti degli esseri umani, sono il frutto di arti misteriose o divine, simboli di un potere che supera quello umano. Sono essenzialmente “imitazioni” della nostra esistenza, non solo nella forma fisica, ma anche nella capacità di ragionamento e interazione, un concetto che attraversa le epoche e si riflette nelle storie che raccontano della nostra relazione con il creato. La figura dell’automa, infatti, è profondamente radicata tanto nella letteratura antica quanto in quella moderna. Non è difficile trovare tracce di questi esseri meccanici e artificiali: basta pensare al mito del Golem, un’entità creata dalla cabala ebraica, che affonda le sue radici in un’antica tradizione mistica e si estende nel tempo fino ai giorni nostri.
Il Golem non è solo una figura mitologica, ma una creazione vivente, una statua che prende vita grazie alla magia. Il mito si ripresenta con grande potenza in numerose forme culturali, tra cui il celebre romanzo Il Golem di Gustav Meyrink, e il film omonimo, uno dei capolavori del cinema espressionista tedesco, realizzato nel 1915 da Paul Wegener e Henrik Galeen. Il Golem, quindi, rappresenta il paradosso di una creazione che sfida le leggi della natura e della vita: una statua che, pur essendo priva di anima, diventa viva, capace di pensare e agire come un essere umano. Ma se ci riflettiamo, questa immagine di vita che emerge da una statua non è un concetto che appartiene solo alla cultura ebraica. La stessa idea di una figura immobile che si anima la ritroviamo in altri contesti mitologici e letterari, come nel Don Giovanni di Mozart, dove la statua del Commendatore assume un ruolo centrale nella drammaticità della storia.
È un tema dunque che riecheggia attraverso i secoli, dove la creazione di intelligenze artificiali può portarci a confrontarci con nuove sfide morali e esistenziali: se una statua o un’automa può risorgere e giudicare, cosa accadrà quando saranno le nostre stesse creazioni tecnologiche a sfidarci?
Il futuro del lavoro, della vita e dell’amore
“La creazione di macchine sempre più autonome potrebbe indurre l’essere umano a farsi dominare da previsioni autoavverantesi.” (p.189)
Il cuore della riflessione di L’Algoritmo di Babele riguarda il futuro, e come l’IA possa ripensare non solo il nostro lavoro, ma anche la nostra interazione con la vita e con gli altri. Come spiega Martin Ford, futurista americano, l’AI non si fermerà ai lavori più semplici e a bassa retribuzione, ma arriverà anche nelle professioni più elevate, da medici a avvocati. Non c’è davvero scampo? E se l’IA, invece di limitarsi a prevedere il futuro, finisse per crearlo, portandoci in un mondo dove le macchine non solo sostituirebbero il lavoro, ma diventerebbero anche oracoli in grado di dirci che cosa fare?
Tuttavia, il libro ci invita a pensare anche alle opportunità. L’AI potrebbe essere un alleato per liberarci da compiti noiosi e ripetitivi, magari rendendo il lavoro meno stressante. In un futuro, grazie all’avanzamento dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie emergenti, le persone potrebbero avere finalmente più tempo da dedicare a se stesse, per coltivare passioni, esplorare nuove esperienze e approfondire dimensioni più sottili della vita umana.
Immaginate un mondo in cui la tecnologia alleggerisce il peso delle attività quotidiane, permettendoci di concentrare le nostre energie su ciò che veramente conta: il benessere, le relazioni, la crescita personale. Perché, ammettiamolo, chi non sogna una vita in cui possiamo lavorare meno, ridurre lo stress e avere più tempo per viverla appieno? Un futuro del genere non solo sembra desiderabile, ma potrebbe rappresentare una nuova e affascinante visione dell’esistenza umana, dove la vita di qualità supera la quantità di ore dedicate al lavoro.
La tecnologia tra opportunità e rischi etici
“Le IA, disponendo apertamente del patrimonio della ‘storia’ (non solo) umana, si dimostrano formidabili saccheggiatrici e – allo stesso tempo – strumenti ancora praticamente inesplorati di creazione.” (cit. Giorgiomaria Cornelio, Fossili di rivolta. Immaginazione e rinascita, Edizioni Tlon, p.292)
Colamedici e Arcagni, tuttavia, non ci conducono in una visione idealizzata del futuro, ma ci obbligano a confrontarci con la realtà che ci aspetta. Il loro libro non è un semplice esercizio di utopia, ma una riflessione critica che ci spinge a guardare in faccia le sfide e le contraddizioni che l’intelligenza artificiale porta con sé. Se da un lato l’AI promette enormi possibilità di progresso e innovazione, dall’altro ci costringe ad affrontare dilemmi etici di grande portata.
Le parole di Cornelio, citate nel testo, mettono in luce una verità scomoda: l’intelligenza artificiale non si limita a raccogliere e rielaborare il nostro passato, ma possiede anche un potere potenzialmente rivoluzionario, quello di riscrivere la nostra storia, di ridisegnare il nostro presente e il nostro futuro in modi che, al momento, non possiamo nemmeno immaginare completamente. Questo potere di riscrittura storica, seppur affascinante, solleva questioni cruciali sulla nostra capacità di controllarlo e sulle implicazioni che esso comporta in termini di identità, memoria collettiva e giustizia sociale.
Il futuro è mito e realtà prossima
“L’IA è la rappresentazione contemporanea del canto delle Sirene; anch’essa promette una conoscenza vasta e capacità quasi illimitate. (…) Ma, come Ulisse, anche noi dobbiamo avere cura di approcciare quel canto con un equilibrio tra interesse e prudenza (…). Dobbiamo imparare a legarci all’albero maestro, per non cadere vittime dell’illusione della conoscenza.” (p.140)
Alla fine, L’Algoritmo di Babele ci invita a riflettere non solo sul futuro tecnologico, ma sulla nostra condizione umana. Il libro non ci chiede di fare i conti solo con la nostra capacità di adattarci all’innovazione, ma anche con la nostra stessa umanità: cosa significa essere umani in un mondo dove le macchine, un giorno, potrebbero essere più intelligenti di noi? Come possiamo convivere con queste nuove forme di vita digitale, che promettono di rivoluzionare il nostro mondo e le nostre relazioni? E soprattutto, come possiamo fare in modo che queste macchine siano al nostro servizio, e non al contrario?
La risposta? Dobbiamo imparare a dialogare con queste tecnologie. Dobbiamo essere pronti a imparare, a rispondere alle sfide e, soprattutto, a non smettere mai di interrogarci su cosa vogliamo veramente, nel futuro che stiamo costruendo. E forse, proprio come Prometeo, dovremmo imparare a “rubare il fuoco” con più consapevolezza, prima che sia troppo tardi.