Scuro Chiaro

Sono la generazione più discussa, quella che i brand vogliono conquistare e che i genitori faticano a comprendere. Sono la generazione iperconessa e la prima che non ha concepito una realtà senza il digitale. Sono presi dalle lotte per l’ambiente e l’equità lavorativa. Si riconoscono in Greta Thunberg e acquistano su Shein e Temu.

Sono la Generazione Z. 

Nati e cresciuti tra crisi economiche e cambiamenti globali, senza aver vissuto l’11 settembre, ma con il Memorial 9/11 come simbolo “la loro visione e le loro prospettive future sono realistiche e alimentate da un senso di competizione più sviluppato”.

Parlano di ambiente e di moda sostenibile, ma cedono agli acquisti del fast fashion e super fast fashion. Passano circa tre ore al giorno sui social media immersi in un flusso continuo di messaggi sui nuovi trend.

Durante le manifestazioni per il clima, molt* giovani adult* sfilano con cartelli di protesta e indossano capi di H&M, Zara o Mango. Un’apparente incoerenza che non può essere liquidata semplicemente come ipocrisia.

Spesa per l’abbigliamento:
meno soldi, più capi

I dati sfatano un luogo comune secondo cui i giovani di oggi spendono molto e molto di più rispetto alle passate generazioni per vestirsi. Non è vero. Dagli Stati Uniti, all’Irlanda il dato, è comune: nei passati decenni, la percentuale di reddito dedicata all’abbigliamento era maggiore rispetto a oggi. Il valore che ha subito un aumento esponenziale non è la spesa per i vestiti, ma la quantità di abiti e accessori che si acquista.

Un tempo si acquistavano meno vestiti, ma erano più costosi e duravano più a lungo, almeno negli armadi.

Moda sostenibile:
tra second hand e nuove abitudini

La Generazione Z è sensibile ai temi ambientali, anche quando si parla di moda. Secondo un’indagine di Deloitte, il 37% ha già rinunciato al fast fashion e un ulteriore 25% vorrebbe farlo.

Questo sembra trovare conferma nel rapporto di Custom Market Insights secondo cui il mercato dell’abbigliamento sostenibile sta registrando una crescita significativa a livello globale. Il mercato mondiale di questo settore è stato valutato 8,1 miliardi di dollari nel 2024, con una crescita del 6,5% rispetto al 2023.

Anche in Italia l’interesse è alto: il 74% della popolazione si dichiara favorevole alla moda sostenibile, e il 47% acquista capi di seconda mano.

Il 26% di acquirenti sono giovan* della Generazione Z.

Lacquisto second hand avviene soprattutto online, tramite app e marketplace, e riduce l’impatto ambientale. Anche se molti capi provengono comunque dal fast fashion, il riuso aiuta a limitare lo spreco. Per produrre una sola t-shirt in cotone si consumano fino a 7.000 litri d’acqua e si generano 2,6 kg di CO₂.

Secondo il report di sostenibilità di Vinted, nel 2023 l’acquisto di usato ha evitato l’emissione di 679 kiloton di CO₂. Eppure, solo il 14% degli utenti di Vinted appartiene alla Generazione Z.

I dati non tornano…
Forse è un problema di linguaggio?

I dati, analizzando diverse ricerche e sondaggi non tornano. Se il 37% della Generazione Z ha rinunciato già al fast fashion come mai i dati di fatturato delle grandi big del settore continuano a crescere e per Shein e Temu l’aumento è esponenziale? Il mercato globale del fast fashion vale oltre 120 miliardi di dollari e si prevede che raggiunga i 184 miliardi entro il 2027.

Una ricerca pubblicata su ResearchGate suggerisce che il problema potrebbe essere nel linguaggio.

Lo studio “Exploring the perceptions and motivations of Gen Z and Millennials toward sustainable clothing” ha evidenziato come la Generazione Z nonostante sia attenta per quanto riguarda la scelta di abbigliamento sostenibile e sia preoccupata per l’impatto che l’industria della moda ha sull’ambiente, tuttavia nella realtà conosce in maniera poco approfondita cosa significhi realmente abbigliamento sostenibile.

Anche influencer e attivisti della moda sostenibile hanno notato questa confusione. Non di rado compaiono video su TikTok e Instagram in cui il topic è fare chiarezza  sui termini della moda sostenibile.

Shein, Temu e gli #haul:
il lato oscuro dei social

Da un lato, influencer come Sofia Fisicaro (71,5K follower) promuovono la moda sostenibile, dall’altro sui social impazzano i video con l’hashtag #haul, che raccontano tutt’altra storia. Su TikTok, #sheinhaul conta 1,2 milioni di video, mentre #temuhaul ne ha oltre 268.900.

In questi video, è comune sentire frasi come: “Non so se li metterò mai, ma…” , mentre si aprono pacchi pieni di vestiti acquistati sui colossi cinesi. Questo tipo di contenuto è diventato parte integrante della strategia di marketing di queste piattaforme: prezzi bassissimi e pubblicità mirate su Instagram e TikTok, dove le haul spopolano tra adolescenti e giovani adulti.

Ma cosa si intende esattamente per haul? Haul è la pratica di spacchettare gli acquisti davanti alla telecamera, mostrando i capi indossati e come possono essere adatti alle situazioni di vita quotidiana. Spesso, i vestiti presentati non sono altro che imitazioni di capi di tendenza, realizzate a basso costo da Shein o Temu.

A questo punto, però, è importante non cadere in semplificazioni troppo facili. Se è vero che Shein e Temu investono moltissimo in influencer marketing su TikTok, Instagram e YouTube, piattaforme dominate dalla Generazione Z, uno studio di UBS Securities (2024), pubblicato su Business Insider, ha rivelato un dato sorprendente: il/la cliente medio di Shein è una donna di 35 anni con un reddito annuo di 65.000 dollari.

Dalla ricerca emergono anche altri due dati che confermano il gap tra intenzione e azione e la confusione che ruota intorno ai concetti di moda sostenibile.
Il 44% degli intervistati ritiene che pratiche come il riciclo e il consumo ridotto di carne compensino gli acquisti di moda veloce e il 67% degli acquirenti di Shein afferma di essere disposto a pagare di più per prodotti sostenibili…. ma continua sempre a comprare su Shein. 

Un altro dato interessante arriva dalla classifica dei negozi on-line più popolari tra la Generazione Z italiana nel 2024. Secondo Statista, al primo posto c’è Amazon, utilizzato dall’85% degli intervistati, seguito da Shein (35%) e Zalando (33%).

Questo conferma che, nonostante l’attenzione per la sostenibilità, la convenienza economica resta un fattore determinante nelle scelte d’acquisto dei giovani.

Sostenibilità vs. convenienza:
una sfida aperta

Secondo un’indagine di Kantar, la Generazione Z si considera la meno eco-consapevole nelle azioni quotidiane, ma la più attiva nel sostenere campagne per l’ambiente. Il problema principale sembra essere economico: i capi sostenibili sono percepiti come costosi.

Ma anche in questo caso la verità ha più sfaccettature. A seguito di un video in cui l’influencer Sofia Fisicaro afferma: “se hai il potere di acquisto per spendere 200 euro in fast fashion allora puoi cambiare le abitudini di acquisto e comprare moda sostenibile”, il commento che si legge è: “ma aspetta, ma se spendo 200 euro in fast fashion mi porto a casa diverse magliette, felpe e pantaloni se compro di lusso 200 euro ci compro una maglia… non ho capito”. Che poi moda sostenibile non è lusso…

Micro-trend e consumo compulsivo

Nell’era dei social tutto è esposto, tutti possono vedere cosa facciamo e cosa indossiamo e la percezione di noi passa attraverso l’immagine del mondo virtuale. Oggi non si parla più di trend, ma di micro trend e questi possono attivarsi in qualsiasi momento e partire da chiunque. I micro trend hanno tolto il concetto di stagionalità e ciclicità storici della moda. Un tempo un trend nella moda viveva 3-5 anni, oggi 3-5 mesi.

Le influencer o le persone normali che cercano di diventare influencer sfruttando le società di fast fashion, producono video #haul giornalmente e l’utente affezionato giornalmente è sottoposto alla visione di nuove proposte.

Come scrive L.Cline nel suo libro “Siete pazzi ad indossarlo! Perché la moda a basso costo avvelena noi e il pianeta” (Mondadori), i consumatori percepiscono “gli indumenti essenzialmente come prodotti da acquistare e non da utilizzare” concetto che rimanda al video di TikTok “l’ho preso, ma non so se lo metterò mai”.

Notizie di questi giorni

In una recente intervista Leonard Lin, presidente Emea e global head of public affairs di Shein, ha dichiarato che l’ambizione di Shein “è diventare un punto di riferimento non solo per l’accessibilità, ma anche per la responsabilità ambientale e il supporto ai talenti emergenti. Inoltre – afferma Lin – , ci impegniamo a innovare per comprendere meglio le esigenze dei consumatori e offrire loro una moda personalizzata, reattiva e sostenibile.

Il 6 febbraio 2025, la Commissione Europea ha criticato aspramente Shein perché nei suoi capi sembra essere presente cotone proveniente dallo Xinjiang una zona soggetta a divieti a causa dell’accertato sfruttamento di manodopera uigura. Nel nostro Paese l’Antitrust ha aperto un’indagine contro la società ipotizzando pratiche ingannevoli sulla sostenibilità.

La Generazione Z può cambiare le regole?

La Gen Z è cresciuta con il fast fashion e lo considera la normalità. Tornare a comprare pochi capi di qualità è possibile? O il cambiamento deve venire dai brand e dalla regolamentazione?

Una cosa è certa: la generazione che si batte per la sostenibilità ha ancora molte contraddizioni da risolvere.

Consigli di lettura

Iscriviti alla nostra newsletter, qui!