Ormai lo ripetono tutti: i supereroi al cinema hanno stancato, e persino la corazzata dei film Marvel sembra in crisi. Ma se l’onda d’urto del Marvel Cinematic Universe (MCU) inizia a mostrare segni di cedimento, la portata rivoluzionaria del progetto rimane intatta. Ciò di cui si parla un po’ meno, infatti, è come questo universo condiviso abbia trasformato per sempre il nostro modo di concepire, raccontare e vivere le storie.
Perché il MCU non è solo la titanica macchina da intrattenimento che negli ultimi quindici anni ha macinato miliardi ai botteghini di tutto il mondo; è, prima di tutto, un esperimento narrativo colossale. Un laboratorio di storytelling, forse il più ambizioso mai tentato nel cinema moderno, in cui la sfida non è solo quella di creare film che appassionino il pubblico, ma di costruire un intreccio continuo e in evoluzione.
Per la prima volta, le sale cinematografiche si sono trasformate nel teatro di un universo condiviso, un multiverso generatore di storie capace di combinare la finitezza dei film con l’infinitezza della serialità. Ma quanto può durare davvero questa “narrazione senza fine”? È possibile mantenere vivo un universo che conta ormai decine di protagonisti, sottotrame e continui intrecci senza rischiare di stancare il pubblico o di perderlo per strada?
Ne parliamo oggi con due giovani voci del mondo della sceneggiatura e della critica: Giulio Fabroni, scrittore e sceneggiatore, e Edoardo Ferrarese, critico e creator. Entrambi sono cresciuti nel pieno del fenomeno MCU, ma con percorsi e sensibilità diverse. Tra i due c’è un’intesa profonda per quanto riguarda l’amore per le storie, anche se approcciano il MCU da punti di vista differenti: Giulio con gli occhi di chi si immerge nei meccanismi narrativi da autore, Edoardo con l’entusiasmo di chi esplora e commenta il cinema da tutte le piattaforme digitali a disposizione. Pronti a una doppia intervista in cui Giulio e Edoardo ci raccontano cosa significa scrivere e analizzare storie in un mondo post-MCU.
Giulio Fabroni aveva appena nove anni quando uscì Iron Man, ma già sapeva che voleva diventare un “artigiano di storie”. La sua prima sceneggiatura? La vita adolescenziale di Peter Parker, reinterpretata in versione Manhattan di Woody Allen. Da allora ne ha fatta di strada: oggi ha appena firmato un romanzo, è uno dei più giovani sceneggiatori ad aver firmato una fiction per Rai e, grazie alla sua esperienza di dialoghista con Un posto al sole, sta imparando tutto sulle narrazioni senza fine. Al momento è al lavoro su vari progetti per film e serie TV, anche se continua a sognare che qualcuno, prima o poi, gli affidi un film sull’Uomo Ragno.
Per Edoardo Ferrarese, il cinema è un mix senza confini: se gli chiedete cosa rappresenti per lui, probabilmente vi citerà quel cameo in The Avengers di Jerzy Skolimowski, il grande regista polacco, che appare solo per divertirsi a torturare la Vedova Nera. Edoardo ama sovvertire le regole e mescolare i generi, motivo per cui si dedica a parlare di cinema e storie su tutte le piattaforme possibili: scrive articoli per testate come Everyeye, ma recensisce anche su YouTube, Twitch e TikTok, convinto che per raccontare le storie si debba usare ogni mezzo a disposizione.
Giulio, Edoardo, cominciamo dal grande interrogativo: davvero siamo stufi di supereroi? Ormai si dice che il Marvel Cinematic Universe abbia perso la sua magia. Secondo voi, è una crisi passeggera, oppure il pubblico ha bisogno di un po’ di “disintossicazione da superpoteri”? E poi, ammettiamolo: ci sarà mai una vera alternativa al fascino del mantello e delle calzamaglie?
GF: Chi legge fumetti sa bene che per la Marvel, e per i supereroi in generale, questa non è la prima crisi nel rapporto con il pubblico. A salvare i nostri beniamini in calzamaglia dal baratro editoriale degli anni ’90 fu proprio il cinema, che rispolverò personaggi giudicati ormai obsoleti ed espanse il bacino di pubblico fidelizzando le nuove generazioni. Di recente diversi progetti del Marvel Cinematic Universe sono stati bocciati dall’opinione pubblica (benché non dal botteghino) per trame giudicate troppo ripetitive e confuse. Spesso si traccia un parallelismo con il genere western, che dopo l’esplosione di popolarità negli anni ’50 saturò le sale al punto che dagli anni ’60 in poi le produzioni western furono decimate. Questo ha forse impedito che uscissero capolavori come la Trilogia del Dollaro di Sergio Leone, Gli spietati di Clint Eastwood, o la serie Yellowstone di Taylor Sheridan? No, semplicemente chi prende decisioni a Hollywood ha capito che per produrre un western di successo non bastava più mettere cavalli e pistole in mano agli interpreti più in voga, ma servivano intenzioni artistiche radicali e soprattutto grandi storie.
EF: Tutti dicono di essere stufi del modello MCU dei supereroi, solo che poi arriva Deadpool & Wolverine nel pieno del trend “La Marvel è morta” e incassa un miliardo e trecento milioni al botteghino. A dimostrazione che un film R-rated può funzionare anche per i Marvel Studios, e che quindi la narrazione troppo frammentata ha sì “stufato”, ma solo perché si è fisiologicamente abbassata la qualità, non perché il pubblico è stanco, anzi. La gente andrà sempre al cinema a vedere il prossimo Spider-Man, pure se ne dovesse uscire uno all’anno.
GF: Il mito del supereroe ci arriva dagli antichi, trascende epoche e mode: bisogna solo capire come rielaborarlo sorprendendo.
EF: Il punto sono sempre le storie e come vengono narrate: di supereroi ci sarà sempre fame.
Entrambi siete cresciuti nell’epoca d’oro dei supereroi, ma diteci: se foste voi i capi di Marvel Studios, quale sarebbe il film “definitivo” che produrreste per rinnovare il MCU? Che twist servirebbe per renderlo nuovamente irresistibile per il pubblico?
EF: Qua forse potremmo rispondere davvero assieme, perché io e Giulio abbiamo parlato tanto di questa ipotesi: dopo Secret Wars (il film che fa collassare tutto il multiverso lasciando soltanto un universo sopravvissuto) per noi si riazzererebbe tutto quanto il Marvel Cinematic Universe, come spesso accade nei fumetti, e nel 2028 – venti anni dopo l’inizio del franchise – uscirebbe di nuovo un “primo” film di Iron Man. Stesso personaggio, ma attore e storia diversa, aggiornata alla contemporaneità. E si riparte.
GF: Sembra che nei prossimi anni il MCU punterà sui fuochi d’artificio per mantenere alta l’attenzione mediatica: progetti come Deadpool & Wolverine e Avengers: Doomsday danno fondo alle risorse di nostalgia e fanservice così da rendere questi film eventi imperdibili. La mia impressione di autore è invece che il pubblico richieda piccole boccate d’aria fresca, con storie magari meno interconnesse che permettano un ritorno all’essenza dei personaggi (a occhio e croce il film di prossima uscita The Fantastic Four: First Steps sarà qualcosa del genere, quindi forse anche i Marvel Studios hanno intercettato questa esigenza…).
Data la mia passione per l’Uomo Ragno, io proporrei una serie tv “vecchio stampo” – una puntata a settimana, una ventina per stagione – che segua le avventure di Peter Parker adolescente (anche se forse il pubblico di oggi preferirebbe Miles Morales) tra supercriminali e liceo, riprendendo magari anche nello stile l’atmosfera dei fumetti anni ’60-’70.
Due alternative meta fuori di testa?
1) Una workplace sitcom tipo The Office incentrata sulla redazione della Marvel negli anni d’oro, con personaggi esuberanti come Stan Lee, Jack Kirby e Steve Ditko.
2) Un film ispirato alla miniserie a fumetti Marvel 1985 scritta da Mark Millar: un ragazzino nerd si rende conto che i personaggi della Marvel stanno uscendo dai fumetti (e magari, nell’adattamento, dai film), invadendo la nostra realtà…
A questo punto del viaggio Marvel, qual è il vostro personaggio preferito e quale, invece, non invitereste mai a cena? E cosa credete ci insegni ogni personaggio del MCU su come affrontare le sfide quotidiane?
GF: Il segreto del successo degli eroi Marvel sta nel famoso mantra di Stan Lee: supereroi con superproblemi. Questi personaggi non sono icone astratte, eteree e paradivine, ma esseri più o meno umani che oltre a salvare il mondo si innamorano, sbagliano, si ammalano e tardano a pagare l’affitto. Il loro insegnamento è proprio questo: anche quando sembra che la vita ci metta eccessivamente alla prova, c’è sempre la scelta per fare qualcosa di buono. Ma David Bowie l’ha detto meglio.
Un personaggio da tenere alla larga? Obadiah Stane, il perfido pelatone interpretato da Jeff Bridges nel primo Iron Man: pomposo, antipatico e francamente inquietante. Più senza armatura che con. Quanto all’invito a cena, per non essere troppo noioso e dire sempre Peter Parker, viro (di poco) sulla MJ di Zendaya!
EF: Difficile non scegliere come personaggio del cuore il Tony Stark di Robert Downey Jr., perché ha dato inizio a tutto e ha uno degli archi evolutivi migliori di tutto il franchise: da egoista totale diventa mentore e infine eroe che si sacrifica per salvare l’universo intero. Vederlo cambiare da classico eterobasico con il “problema” di quale donna portarsi a letto ogni sera a persona che mette gli altri davanti al proprio bene è una delle grandi lezioni del MCU (e di quanto il franchise abbia capito come stare nella sua stessa contemporaneità). Il punto poi è sempre quello dei supereroi con superproblemi che cita Giulio: sfide quotidiane che risultino realistiche anche per chi spara raggi laser.
A cena non inviterei mai Captain America, non penso riderebbe alle mie battute.
Secondo voi, qual è stato il vero segreto del successo del MCU: è stato il coraggio narrativo, l’attenzione per i dettagli, o la scelta di personaggi che arrivano dritti al cuore delle persone? E credete che questo modello possa essere applicato anche ad altre forme di storytelling, tipo nella fiction italiana?
EF: Di sicuro tutto parte dal coraggio visionario di creare un mondo condiviso mai visto prima al cinema, sfruttando personaggi e IP che comunque avevano già una presa sul pubblico (anche se non tutti erano così radicati nell’immaginario collettivo come poteva esserlo Spider-Man). Forse il punto di svolta sta proprio nell’essere stati i primi, e nell’aver fatto comprendere al pubblico che si stava assistendo all’inizio di un fenomeno mai tentato prima.
GF: Personalmente credo la riuscita di questo titanico esperimento sia stata decretata da una rinnovata cultura dell’appuntamento in sala. Gli annunci plateali, il gusto dei trailer, l’enorme comunità di appassionati che per tutto l’anno su Internet si scambia teorie… ogni nuovo film Marvel è un po’ come un piccolo Natale! Tant’è che la recente percepita fase di declino si può far corrispondere con lo sbarco di tanti (troppi) nuovi prodotti MCU per le piattaforme streaming…
L’universo narrativo è un’entità dall’equilibrio molto delicato, e lo testimoniano i tanti tentativi cinematografici falliti che hanno fatto seguito al MCU (DCEU, Wizarding World, i mostri Universal…). L’impressione è però che il pubblico stia riscoprendo il gusto dell’appuntamento, quindi perché non immaginare nuovi universi in “luoghi narrativi” considerati fuori moda? La soap opera, ad esempio, oppure l’edicola e la libreria…
EF: Il modello MCU può essere applicato: il problema è sempre il come, perché la difficoltà è mantenere la condivisione delle storie chiudendole in una trama orizzontale coerente e capace di coinvolgere senza confondere o far disaffezionare il pubblico.
Per concludere: se aveste la possibilità di scrivere o girare l’ultimo film della Marvel, quello con cui chiudere definitivamente la saga, come immaginate sarebbe? Che fine fareste fare ai nostri eroi, e cosa vorreste lasciare al pubblico come “messaggio d’addio” da parte del MCU?
GF: Il pensiero stesso di chiusura definitiva è contronatura per un progetto come il MCU. Immaginare una fantomatica battaglia finale in cui si debelli per sempre il male, ottenendo il famoso e utopico “mondo che non ha bisogno di eroi”, rischierebbe a mio parere di risultare ingenuo e di lasciare paradossalmente l’amaro in bocca. Ogni storia a fumetti seriale che si rispetti termina con niente più che il confortante ritorno alla normalità. Idealmente, quindi, il mio film finale degli Avengers si chiuderebbe come una loro avventura qualunque: con gli eroi che dopo aver sventato la minaccia di turno rientrano nella loro villa, si riuniscono stanchi e allegri davanti a una tazza di caffè – o, nel caso di Thor, un boccale di idromele – e aspettano la prossima avventura. Mai sconfitti, sempre uniti.
EF: Difficile chiudere qualcosa che per definizione continua in un eterno presente, però mi piacerebbe farlo partendo da Marvel 1985 di Mark Millar (giuro che l’ho scritto prima di leggere la risposta precedente di Giulio, ma lui ha sempre sei lunghezze di vantaggio): sarebbe interessante chiudere tutto “senza chiuderlo”, con eroi e cattivi che ritornano tra le pagine di un fumetto, o tra i fotogrammi di un film che un’altra persona potrà continuare a leggere o guardare.