Scuro Chiaro

Qui su BUNS parliamo spesso di futuro in termini di velocità: disruption, innovazione, accelerazione. Ma se il cambiamento più urgente non fosse più veloce, più nuovo, più rumoroso — ma invece più profondo, più lento, più connesso? È questo il tipo di domande che Sabine Koppe esplora da oltre 15 anni, non solo come ricercatrice culturale e di trend, ma come pensatrice rigenerativa, sfidante dei sistemi e costruttrice di quelli che lei chiama “futuri emergenti”.

Di base a Berlino, è nata nell’ex Germania Est e si è mossa tra Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Italia. Sabine porta nel suo lavoro una prospettiva personale, stratificata e profondamente vissuta: è fondatrice di Otherways Emergent Futures, una piattaforma che non si limita a immaginare cosa verrà dopo, ma lavora insieme a comunità e organizzazioni per co-creare futuri radicati nella cura, nell’equità, nella sostenibilità e nell’apprendimento collettivo.

Il percorso di Sabine non è stato lineare. Dal 2008 ha iniziato un processo intenzionale di disapprendimento dei paradigmi estrattivi su cui si basa gran parte del lavoro tradizionale su foresight, innovazione e strategia. Nella sua pratica, personale e professionale, mette in discussione tutto: i futuri che glorifichiamo, le voci che mettiamo al centro, i sistemi che sosteniamo – spesso senza accorgercene. Oggi, il suo lavoro si fonda su rigenerazione, futuri femministi critici, pensiero mutante e culture della cura.

Collabora a livello globale come facilitatrice di trasformazione, ricercatrice culturale e attivista per la rigenerazione, utilizzando tecnologie sociali come presencing, appreciative inquiry, sociocrazia, comunicazione non violenta, pratiche somatiche, gioco, fantascienza e molto altro, per aprire nuovi modi di apprendere e immaginare. È un po’ impollinatrice culturale, un po’ levatrice di futuri — aiutando a far nascere visioni vive, giuste, e non solo umane.

Sabine è anche la fondatrice di Woman2Woman, un gruppo Telegram che condivide conoscenza sull’esperienza della (peri)menopausa tra donne — un altro esempio del suo impegno a rendere il lavoro sul futuro radicato nell’esperienza vissuta, e non in previsioni astratte.

In un momento in cui molte persone sono stanche del concetto stesso di “futuro”, Sabine ci invita a riconnetterci. A rallentare. Ad accogliere la complessità. A creare in modo diverso, insieme. Abbiamo parlato con lei di rigenerazione, cura, disapprendimento e di cosa significhi lavorare con il futuro come multiverso vivo, che respira, co-creato.

Benvenuta, Sabine. Lavori nel campo dei trend e della ricerca culturale dal 2006, ma a un certo punto hai iniziato a mettere in discussione l’intero sistema. Qual è stato il punto di svolta per te? Quando il “business as usual” ha smesso di avere senso?

Credo che, in un certo senso, mi sia sempre sentita un po’ fuori posto nel mondo del “business” – nei suoi codici, nel linguaggio, nel modo in cui funziona, nelle priorità che le organizzazioni si danno (e in ciò che invece ignorano), nei processi come gli innovation funnel. L’ossessione per la crescita, la velocità, l’efficienza, la novità e l’innovazione mi è sempre sembrata… strana.

Attraverso alcuni progetti legati alla sostenibilità e all’acqua, ho iniziato a capire quanto il nostro stile di vita danneggi il pianeta e gli esseri viventi. E ho iniziato a sentirmi a disagio – e complice – nel contribuire ad aiutare le aziende a estrarre risorse e costruire nuove cose. Mi arrabbiavo e diventavo impaziente quando le aziende liquidavano la sostenibilità come un tema poco importante. Così ho iniziato a fare ricerca su dati e segnali relativi alla sostenibilità, per avere argomentazioni solide su quanto fosse cruciale.

Poi mi sono sempre più avvicinata al futures thinking, al pensiero sistemico e al lavoro sulla trasformazione, per aiutare aziende, governi, ONG e territori a orientarsi strategicamente e ad adattarsi a un mondo in cambiamento.

Parli spesso di “futuri rigenerativi” – un’espressione bellissima, ma anche complessa. Come la spiegheresti a chi pensa ancora che il futuro sia semplicemente prevedere “cosa verrà dopo”?

Abbiamo costruito, in Occidente, un modo di pensare e agire artificiosamente riduzionista, lineare e monoculturale, che poi abbiamo anche imposto come Leitkultur al resto del mondo. Questo modello influenza il modo in cui immaginiamo il futuro. L’idea che si possa davvero prevedere “il futuro” nasce dal capitalismo industriale, orientato alla produzione di massa e alla crescita. Ma i futuri rigenerativi partono da una consapevolezza diversa: la Terra è un sistema vivente, complesso, fatto di relazioni interdipendenti.

Niente accade dentro una relazione senza avere effetti su altre relazioni – ma allo stesso tempo, non possiamo controllarle. Se spostiamo l’attenzione sul prenderci cura delle relazioni e della vitalità dei sistemi, e se in ogni interazione ciò che facciamo sostiene in qualche modo questa vitalità, allora stiamo contribuendo a costruire futuri rigenerativi. Questo significa anche accettare la morte, il morire e il collasso come parti necessarie dell’equilibrio – e usare il compostaggio per nutrire ciò che nascerà.

Nel tuo lavoro utilizzi metodi come presencing, sociocrazia, comunicazione non violenta, pratiche somatiche, persino la fantascienza. Cosa sbloccano queste “tecnologie sociali” che gli strumenti tradizionali del business non riescono a fare?

Diciamo che… se ci affidiamo solo alla testa e alla razionalità per guidare le nostre azioni, perdiamo qualcosa di importante. Abbiamo dimenticato come usare il corpo e i sensi per raccogliere informazioni. Le tecnologie sociali che includono il “sentire” aprono la nostra capacità di relazionarci con noi stessi, con gli altri e con la “natura”. Con un livello di complessità crescente, abbiamo bisogno anche di altri modi di governare e comunicare – ecco perché amo la comunicazione non violenta e la sociocrazia: aiutano a creare nuove forme di relazione e di presa di decisione.

La fantascienza, il design speculativo, la poesia, la musica e, in generale, le arti, aiutano questo sensing e questa modalità di relazionarsi alle informazioni in modo diverso. È importante comprendere da dove arrivano gli strumenti, il linguaggio e il sapere del business: molti di essi sono storicamente radicati in sistemi che hanno contribuito a creare futuri ingiusti, iniqui e insostenibili.

Hai lanciato un gruppo Telegram chiamato Woman2Woman, dedicato alla (peri)menopausa. Perché è importante parlare di futuro attraverso la lente della salute femminile, degli ormoni e dei passaggi di vita?

È nato da due motivazioni: il mio vissuto personale, molto intenso, con la (peri)menopausa — e il fatto che non sapevo assolutamente nulla sull’argomento.
Poi ho scoperto che tante altre donne si sentivano allo stesso modo. Che il sistema non è progettato per supportarci durante queste fasi di transizione. E soprattutto che, attraverso questo tema, emergono tante altre cose: disuguaglianze sociali, un sistema sanitario pensato principalmente sul modello maschile, e molto altro.

Sono una grande sostenitrice dei commons, della condivisione di risorse e conoscenza, affinché non si debba sempre ripartire da zero, da sole. Così ho avviato questo esperimento con alcune amiche e amiche di amiche, per vedere se poteva essere utile.

Il lavoro rigenerativo può essere emotivo, disordinato, lento – e bellissimo. Quali pratiche ti aiutano a restare connessa a te stessa quando ti muovi tra grandi sistemi, emozioni profonde e complessità culturale?

Hai perfettamente ragione, il lavoro rigenerativo è tutto questo. È importante ricordare che il cambiamento sistemico è lento, e procede alla velocità della fiducia. Si basa sulla costanza, sulla presenza. Si tratta di nutrire e coltivare il terreno e le relazioni, per favorire le condizioni affinché la vitalità e la rigenerazione possano emergere.

Personalmente, trascorro molto tempo nella “natura” – che per me significa entrare in relazione con altri esseri viventi. Medito. Faccio yoga e pratiche di respirazione. Ballo. Trascorro tempo da sola. E mi co-regolo, piango, canto insieme ad altre persone, in spazi come la Church of Interbeing qui a Berlino.

Cerco di notare le piccole cose. Faccio l’elenco delle cose per cui sono grata. E passo tempo con i miei figli, la mia famiglia, gli amici – imparando da loro e con loro, facendo insieme cose che ci portano gioia.

Se potessi progettare un “Futures Playground” per adulti – in parte spazio di apprendimento, in parte laboratorio, in parte rifugio – come sarebbe? Chi inviteresti? E quali regole (o assenza di regole) lo governerebbero?

Che bella domanda! Le prime cose che mi vengono in mente sono spazi bellissimi, con mostre e workshop interattivi e tattili, dove si possa “fare esperienza” del futuro – un po’ come il Futurium di Berlino.

Ma vorrei anche portare le persone fuori, nei luoghi in cui vivono. Osservare. Ascoltare. Notare. Immergerle nella “natura” e nelle relazioni del loro contesto vissuto. Aiutarle a vedere come passato, presente e futuri siano tutti qui, allo stesso tempo.

Far capire che ci sono moltissime cose di cui il mondo ha bisogno, e che ci sono moltissime cose che ognuno può fare. Che il loro modo di essere, di entrare in relazione, plasma i futuri – sempre, in ogni piccola interazione.

E poi… chiederei loro di organizzare qualcosa insieme ad altre persone, per rendere quel luogo migliore di com’era prima – con pochissimo tempo e risorse limitate 😉

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