Scuro Chiaro

Che cosa significa transmediale? Come si differenzia dal crossmediale? Come cambia una strategia di contenuti quando si crea una narrazione che si muove su più media? E che ruolo gioca la nostra esperienza emotiva in tutto questo? L’abbiamo chiesto a un esperto.

Enrico Granzotto è infatti un ricercatore e consulente creativo specializzato in intrattenimento immersivo e narrazione transmediale. Fondatore di Humenhoid, studia le modalità narrative e le potenzialità comunicative tra letteratura, cinema, televisione, e videogiochi. Come direttore creativo operativo a Venezia, Enrico inoltre offre servizi di comunicazione integrata per l’arte collaborando con istituzioni e artisti internazionali. È stato un vero piacere dialogare con lui, ecco che cosa ci ha raccontato delle sue ricerche e del suo mestiere. Buona lettura!

Il transmediale è una di quelle parole che appaiono spesso dentro le strategie digitali, anche a sproposito. Una volta per tutte, di che materia si tratta? Qual è la differenza sostanziale con il crossmediale?

Esistono molte definizioni, formulate in periodi diversi per descrivere fenomeni simili e meccanismi comunicativi in continua evoluzione.

In estrema sintesi, considerando una differenza macroscopica, il sistema cross-mediale adatta e declina un’unica storia in differenti media indirizzando l’esperienza utente in un sistema comunicativo tendenzialmente lineare, mantenendo praticamente invariati i contenuti originari.

Nel sistema transmediale una storia è invece frammentata in ulteriori contenuti interdipendenti attraverso diversi canali mediali, generando un’esperienza di navigazione non-lineare, con molteplici punti di entrata. Prodotti editoriali, cinema, serie tv, videogiochi, documentari, materiali sonori: è la narrazione a impianto transmediale a coinvolgere lo spettatore in un’immersione totale, espandendo la comprensione del mondo finzionale di riferimento tramite una complementare “comprensione additiva” (H. Jenkins), ottenuta esplorando tutte le diramazioni narrative multi-piattaforma sia in ambito analogico, sia digitale. In una frase: il cross-mediale adatta e ripete, il transmediale espande e diversifica.

Si tratta di una modalità molto specifica, che necessita di particolari requisiti progettuali, e di un’apposita strategia digitale considerando i contenuti, la funzione comunicativa e la tipologia di pubblico coinvolta. In Italia è una condizione rara, ma in ascesa, con casi di studio molto sorprendenti. Indico come fondamentali le ricerche ormai storiche di Henry Jenkins, Frank Rose, Jeff Gomez, Andrea Phillips e Christy Dena; tra i primi studiosi a osservare questo fenomeno tecnologico e culturale.

Come ti sei avvicinato a questa disciplina? Quali sono i progetti transmediali che per primi ti hanno affascinato?

Come lettore-spettatore-giocatore sono sempre stato attratto dalle storie “dense”, capaci di ospitare narrazioni multiple e contenuti in espansione connettendo personaggi, eventi, e luoghi in un ecosistema dinamico.

Mi ha sempre affascinato la possibilità di conoscere aspetti storici, antropologici, filosofici, geografici e tecnologici interdipendenti alla narrazione principale, continuando a esplorare il mondo finzionale in diverse modalità comunicative predisposte a espansioni e a sviluppi seriali.

Un momento fondamentale della mia consapevolezza professionale dell’industria dell’intrattenimento è stata la laurea in Arti Visive (2015), dove con la tesi dedicata alla campagna transmediale di Prometheus (R. Scott, 2012) ho esaminato l’intero processo di gestione dell’informazione narrativa e la relativa strategia promozionale, progettata per connettersi all’universo di Alien (R. Scott, 1979) e di Blade Runner (R. Scott, 1982), documentando inoltre la recente evoluzione tecnologica, i relativi cambiamenti culturali, e l’ascesa di una nuova generazione di proprietà intellettuali immersive.

Ho poi deciso di concentrarmi sulla ricerca transmediale come prospettiva di carriera, iniziando a scrivere articoli compilativi e analisi creative per approfondire aspetti teorici e competenze professionali.

E riguardo i casi transmediali più recenti che si sono distinti per il giusto equilibrio tra ricerca creativa e narrative marketing?

Con l’evoluzione del mercato e l’emergere di un pubblico particolarmente attivo, esigente e competente, il livello qualitativo delle configurazioni immersive è in continua crescita. Molte proprietà intellettuali sono ormai appositamente concepite (o riconcepite, riadattate e riavviate) per essere declinate in configurazioni transmediali includendo nell’architettura informativa prodotti editoriali (vedi il caso speciale di “S.” di J. J. Abrams e Doug Dorst), film, serie tv, videogiochi, documentari, fumetti, giochi da tavolo, esperienze sonore, spettacoli musicali, mostre e parchi divertimento.

I casi storici di Star Wars (1977), The Matrix (1999), The Lord of The Rings (2001), The Dark Knight (2008), Avatar (2009), e i recenti Hunger Games (2012), Deus Ex: Human Revolution (2011), Assassin’s Creed: Unity (2014), Call of Duty: Black Ops III (2015), The Martian (2015), Mad Max (2015) e Tom Clancy’s: The Division (2016) rappresentano testimonianze rilevanti per studiare l’evoluzione del narrative marketing e per valutare come la diversificazione dei contenuti narrativi tra dominio analogico e digitale ha contribuito a evolvere le strategie del settore verso configurazioni interdisciplinari, riducendo lo spazio percettivo tra realtà e finzione e trasformando la promozione di un prodotto in un’ulteriore esperienza di intrattenimento e di espansione narrativa a elevato potenziale commerciale.

In che modo la narrazione genera ed espande la nostra esperienza emotiva, la nostra dimensione umana nel digitale? Su che leve lavora?

Come esseri umani, noi immaginiamo, cerchiamo e condividiamo storie per connetterci, raccontarci, simulare realtà alternative, trovare significati profondi ed emozionarci. Tutte le storie sono diverse tra loro, ma sono anche uguali a livello primordiale: ci uniscono con contenuti astratti attraverso le emozioni, contribuendo a generare la nostra identità individuale e collettiva.

Nel settore dell’intrattenimento c’è un desiderio crescente di immersività in tutte le aree mediali: le persone vogliono essere dentro storie complesse, sentirsi coinvolte, sviluppare un senso di empatia e di appartenenza, imitare linguaggi, dimensioni estetiche e comportamenti, interagire direttamente con un mondo narrativo e i suoi personaggi: il digitale espande le modalità di comunicazione e di interazione amplificando il potenziale immersivo della narrazione restituendo un’esperienza di intrattenimento a lungo termine, personalizzata e partecipativa, con un intenso coinvolgimento cognitivo, fisico, ed emotivo.

Quali settori stanno beneficiando delle meccaniche ludiche sul digitale?

Esistono numerose sperimentazioni intersettoriali: dall’industria cinematografica, all’attività sportiva, dall’istruzione, all’abbigliamento, alle Forze armate. Nel 2017, ero parte di un gruppo di ricerca della Fondazione UIBI, istituita dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, dedicato a creare esperienze immersive di apprendimento unendo narrazione, pedagogia, contenuti storico-scientifici, e meccanismi ludici per migliorare i processi educativi e di formazione professionale. La nostra organizzazione del Festival della Didattica Digitale nel 2018, insieme a importanti aziende, istituzioni e ospiti internazionali (Indire, Institute of Play, Google, Acer, Microsoft, Samsung), ha dimostrato il grande interesse intersettoriale e il sorprendente potenziale applicativo basato sul potenziamento di specifiche competenze individuali attraverso modalità immersive e meccaniche ludiche, sia in ambito educativo, sia per la formazione aziendale e la selezione del personale.

Osservando settori distinti dall’industria dell’intrattenimento, i recenti casi applicati alla moda e al mercato del lusso (Louis Vuitton, Gucci, Hermès, Kenzo, Fendi), dimostrano una tendenza a integrare le meccaniche ludiche nelle strategie promozionali aziendali, con la capacità di condizionare i processi di vendita e stimolare un’affiliazione intergenerazionale di utenti.

Infine, oltre a un interessante ritorno di contenuti analogici in molte iniziative promozionali con proprietà metacomunicative (soprattutto come iniziative editoriali immersive in forma cartacea), l’emergere di realtà virtuale (VR), aumentata (AR) e mista (XR) a elevate prestazioni, contribuirà a una radicale fase di sperimentazione tecnologica dove narrazione, meccaniche ludiche e comunicazione immersiva stimoleranno nuove aree di ricerca e di interazione esplorando i rapporti tra intrattenimento e competenze, tra lavoro e gioco, tra comportamenti individuali e cultura partecipativa, imponendo una continua ridefinizione dei modelli gestionali delle aziende, dei processi esecutivi, delle strategie promozionali, e dei relativi ruoli di professionisti e utenti.

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