Cristina Cassese, già nostra ospite qui su BUNS, ha scritto per Enrico Damiani Editore e Associati Il bello che piace: Antropologia del corpo in 10 oggetti – dove si cimenta in una sfida tanto ambiziosa quanto irresistibile: trasformare i dettagli della nostra routine quotidiana in una lente attraverso cui esplorare la storia dell’umanità, i suoi miti e – c’è anche questo – le sue ossessioni moderne. Il corpo, da sempre al centro di ogni cultura, diventa in queste pagine il protagonista assoluto di un viaggio che attraversa secoli e tecnologie, passando dai bagni dei faraoni alle fotocamere degli smartphone. E, sì, ne vale davvero la pena.
Il Bello che Piace è un libro che riesce a essere tante cose insieme: è un saggio antropologico, ma anche una critica sociale; un racconto intimo, ma anche un’esplorazione storica. Cristina scrive con uno stile che è al tempo stesso rigoroso e accessibile, trasformando concetti complessi in storie avvincenti. È un libro che ci invita a guardarci dentro e a chiederci perché ci vediamo in un certo modo; è un libro che ci fa riflettere su ciò che il corpo rappresenta in un’epoca di specchi e schermi. Ed è, soprattutto, un libro che ci spinge a immaginare un mondo in cui possiamo liberarci dai riflessi e diventare finalmente noi stessi. Insomma, anche la vostra prossima visita nel bagno di casaavrà un sapore un po’ più… filosofico.
Il bagno come specchio della società
Dunque, da dove inizia il nostro viaggio con le parole dell’autrice? In bagno, ovviamente. In fondo, se c’è un posto in cui ci confrontiamo quotidianamente con noi stessi – letteralmente e simbolicamente – è proprio questo. Noi nostri cassetti ci sono spazzole, rasoi, specchi e profumi, oggetti che sembrano banali, ma che, se osservati da vicino, rivelano un mondo di significati culturali. Pensiamo alla spazzola, ad esempio, non è solo un arnese per disciplinare i capelli ribelli: è uno strumento che ha modellato identità. Dai parrucconi del Settecento alle acconciature ribelli degli anni Ottanta, ogni ciocca e ogni ricciolo raccontano una storia. Cristina ci ricorda che i capelli non sono mai “solo capelli”: sono simbolo di potere, espressione di sé e talvolta persino una dichiarazione politica. Insomma, pettinarsi è più profondo di quanto sembri.
E lo specchio? Questo oggetto è invece il simbolo perfetto dell’ambiguità: un portale tra verità e illusione, dal mito di Narciso alla regina di Biancaneve, fino ad arrivare ai pixel di Zoom, dove il nostro riflesso si è moltiplicato all’infinito. Guardarsi negli occhi davanti allo specchio era già complicato, ma adesso che viviamo tra selfie e filtri Instagram, come possiamo mai sentirci “abbastanza”?
Dallo specchio al selfie: siamo tutti riflessi
La pandemia, lo sappiamo, ha cambiato molte cose, incluso il modo in cui percepiamo il nostro corpo. Le videochiamate, con le loro inquadrature spesso impietose e le luci fuori posto, ci hanno costretti a fare i conti con un’immagine di noi stessi che spesso non ci piace. È proprio in queste pagine che Cristina racconta con ironia e intelligenza come, grazie (o a causa) dei social, il nostro rapporto con l’immagine riflessa sia diventato un’ossessione quotidiana.
Ma qui arriva la magia del libro, perché l’autrice non si limita a criticare. Ci invita a riflettere (è proprio il caso di dirlo) su quanto il nostro “io” virtuale sia in realtà un’espressione dei desideri e delle paure più profonde. Siamo narcisi moderni, sì, ma il nostro specchio non è più una fonte limpida: è pieno di filtri, luci artificiali e approvazioni in Rete.
La bellezza tra mito e mercato
Un ampio spazio del volume è poi dedicato alla relazione tra bellezza e capitalismo, mostrando come l’industria della moda e della cosmesi abbia trasformato la cura di sé in un business multimiliardario. Dal famoso motto di Helena Rubinstein – “Non esistono donne brutte, solo donne pigre” – all’esplosione dei brand di bellezza inclusivi, ogni prodotto venduto è un messaggio che ci dice come dovremmo apparire. Ma quanto di questo è davvero una nostra scelta?
Qui Cristina non cade mai nella trappola di demonizzare la bellezza. Al contrario, la celebra come una forza creatrice, capace di costruire relazioni e stimolare il desiderio. Tuttavia, ci invita a guardare con occhi critici il modo in cui viene usata per imporre standard irraggiungibili. Le immagini patinate delle pubblicità non sono semplicemente belle: sono un’illusione. E noi, con i nostri selfie e i nostri filtri, spesso non facciamo altro che perpetuarla.
Un corpo digitale, un’identità fluida
Infine, eccolo, forse il tema più intrigante del libro per noi di BUNS: il modo in cui il digitale ha trasformato la nostra relazione con il corpo. Se un tempo lo specchio era una superficie silenziosa, oggi lo schermo parla, giudica e raccoglie dati. Ecco allora che scopriamo territori inquietanti fatti di “specchi neri”, dove la nostra immagine non è più solo nostra: dalle telecamere di sorveglianza ai social media, il corpo è diventato un luogo di controllo e visibilità continua.
Eppure, ci sono anche spazi di resistenza. Ci ricorda che il corpo è una soglia: un luogo di infinite possibilità. È un “io” in costruzione, una narrazione che possiamo riscrivere ogni giorno. In un mondo che cerca di intrappolarci in modelli preconfezionati, possiamo ancora trovare modi per sfidare le convenzioni e creare nuove estetiche. Buona lettura.