Scuro Chiaro

Mettiamo – per ipotesi – che possiate ottenere uno stile di vita agevole, senza sfarzi ma senza difficoltà economiche, lavorando la metà del tempo normalmente dedicato. E ipotizziamo che l’altro 50% del tempo che vi si libera potete spenderlo in due modi: (A) come tempo libero (B) per lavorare comunque e quindi guadagnare il doppio. Cosa scegliereste?

La risposta, oggi, non è così scontata. Entrano in gioco una grande quantità di temi: il denaro, il lavoro e la carriera, l’uso del tempo, tutti legati alla singola sensibilità e ai valori di ciascuno di noi. Visioni opposte da una generazione all’altra, vedi Boomers e Gen Z, ma anche con posizioni contrastanti all’interno di una stessa generazione. Modelli che ben rappresentano la complessità, segno distintivo dei tempi che viviamo.

Tutti però, anche per via dell’esperienza vissuta negli anni di pandemia, abbiamo ormai consapevolezza dell’importanza del work-life balance tanto da metterlo in cima ai requisiti del nostro lavoro ideale. Non stupisce allora che alcune aziende hanno creato una figura come il Chief Happiness Officer (Manager della felicità).

Ma è solo questo? Solo la ricerca di un equilibrio? O forse siamo in un periodo di crisi dei modelli attuali che prelude ad un vero cambio di paradigma?

Quelli della Grandi Dimissioni e della YoLo generation

Abbiamo conosciuto il fenomeno delle “Grandi dimissioni” dove la Gen Z, arrabbiata e delusa, ha deciso di “sottrarsi al ruolo” assegnato loro dalle aziende e dalla Società, come ben ci racconta Camilla de Meis nel suo articolo qui su BUNS

Ed era solo qualche anno fa, il 2021, che Kevin Roose sul New York Times1 parlava di YoLo generation. Una generazione che al motto di “You only live once”, reso popolare dal rapper Drake, cercava una svolta nell’ambito lavorativo, personale e sociale lasciando il “posto fisso” e puntando sulle proprie passioni per crearsi lavori nuovi, flessibili, appaganti.

Così abbiamo avuto un esplosione di nomadi digitali (più o meno “autentici”), startupper con il sogno di creare il prossimo unicorno2, influencer e content creator (tanto o poco pagati), e di quelli che sui social si presentano con “ho il mio brand”. 

Quelli del “lavoretto” e del poco impegno

“Gigonomics”, così nel 2009 Tina Brown sul The Daily Beast battezzava la situazione in cui sempre più persone attorno a lei si prestavano a lavori occasionali per arrotondare in un periodo di bisogno. Esplosa poi nella gig economy, l’economia “del lavoretto”, quella fatta di autisti saltuari di Uber e bacheche per freelance, e da noi associata meno positivamente allo sfruttamento dei riders senza contratto fisso e sottopagati. 

Scelta più consapevole è invece quella legata ai lazy girl jobs i lavori ben pagati ma a basso stress e fatica, che nel 2023 l’allora 26enne Gabrielle Judge, conosciuta su Instagram come @antiworkgirlboss, fece conoscere al mondo. Basta stress in azienda, sì ad un lavoro autogestito in modo tale da essere pienamente felici della propria vita. In quest’ottica va letto il lazy che non è poi pigrizia – fare l’influencer, la SMM, la copywriter ad esempio implicano competenze e molto impegno – ma è la risposta all’hard work cardine del vecchio sogno americano.

Nato sempre per evitare il burnout e proteggersi dallo sfruttamento aziendale, è il quiet quitting ovvero il non fare sul lavoro niente più del dovuto. No straordinari, no progetti extra, e soprattutto no a sposare i valori aziendali. Insomma, si riduce a faccio il mio lavoro nell’orario previsto e finito quello, sono libero. Che sia per insoddisfazione o semplicemente per la voglia di riappropriarsi di spazi e tempi di vita più sani, poco cambia. 

Magari passa, magari no e ci si licenzia davvero.

Quelli del reddito passivo e della pensione

Seguendo i precetti finanziari e lo stile di vita suggerito dal Movimento F.I.R.E. (Financial Independence Retire Early3) dovremmo poter arrivare alla riduzione o al totale abbandono del lavoro prima dell’età prevista dalla pensione. Occorre però essere davvero molto motivati e studiosi per poter seguire un’attenta e consapevole pianificazione finanziaria nella prima parte della vostra vita. Tre i pilastri: (1) massimizzare il risparmio, anche del 50%, con scelte di vita adeguate all’obiettivo; (2) investire i capitali, esempio in ETF; (3) ottenere rendite passive con proprietà immobiliari, dividendi, royalties. Dunque non fa per tutti, meglio se si parte da un buon stipendio o da un capitale iniziale, ma ci sono più soluzioni del modello: Regular, Coast, Fat, Lean, Barista. L’ultima come dice il nome, prevede che mentre risparmiate e vi create i capitali e le rendite per una pensione anticipata (28 è il moltiplicatore da usare per calcolare quanti soldi ti serviranno in base alle tue spese), continuate a lavoricchiare magari anche solo part-time, secondo i vostri desideri e obiettivi.  Visto che abbiamo parlato di finanza, non possiamo non nominare i cryptobro, gli entusiasti supporter delle cryptovalute. Potremmo dire fanatici, visto il loro impegno nella causa, pronti a scambiare, diffondere, creare crypto a più non posso. Vanno a caccia di balene4 e il loro motto è “To the moon”5.  Ci arriveranno o si schianteranno, lo scopriremo con il tempo.

Ben vengano anche i giovani che sempre più spesso, con video brevi in stile Tiktok, nei podcast e con i loro profili social fanno educazione finanziaria, in modo spesso comprensibile a tutti e meno noiso, meme compresi. Perché ok lavorare, ma poi i soldi bisogna saperli gestire e in Italia, questa competenza ce l’hanno in pochi (solo il 35% dei giovani secondo l’indagine della Banca d’Italia, dati 2023).

Se invece avete avuto fortuna nel lavoro e non avete più necessità di uno stipendio, potrebbe venirvi voglia di give back: l’impeto di restituire alla società parte di questa fortuna donando il vostro tempo e le vostre competenze, ovvero lavorare gratis.

Succede con star e imprenditori che creano e dirigono fondazioni e no-profit, e con i top manager che si prestano a fare da business angel a giovani aziende e progetti meritevoli.

Si potrebbe però lavorare tutti meno?

Questa è una domanda a cui la settimana corta o four days week sembra aver dato una risposta convincente. Tante le sperimentazioni fatte, a partire da quella dell’Islanda, tra il 2015 e il 2019, con quattro giorni per 35-36 ore. Ma che si preveda o meno riduzione di ore, deve restare uguale stipendio e produttività. 

Risultato: le imprese dichiarano una maggior produttività, i dipendenti sono più rilassati, concentrati, felici, calano i giorni di malattia usufruiti e le dimissioni volontarie. Funzionerebbe anche in Italia? Sembra di si, ma c’è un dato da considerare: come mostrano le statistiche, da noi si lavora molte ore ma con scarsa produttività, e questo è un problema.

E lavorare lentamente è meglio?

A questo risponde chi crede nella slow productivity di cui Cal Newport con il suo recente libro è il portavoce6. La nostra idea di “produttività”, veloce e performativa, non funziona più. Perché allora non sperimentarne una più lenta, come quella che padroneggiavano saggi, storici e intellettuali del passato, da Galileo e Isaac Newton?

Non c’è dubbio che certe attività richiedano o meriterebbero lentezza, riflessione, tempo, tutte merci assai rare al giorno d’oggi dove governa la dittatura degli algoritmi e la freddezza dei dati premia la quantità ma non la qualità. 

Cosa fare nel tempo libero. L’ozio 2.0

Quindi abbiamo visto molti modelli che ci garantiscono tempo libero, ma la vera killer app del lavoro si dice sarà l’Intelligenza Artificiale che lo farà al posto nostro. Senza dubbio ha già dimostrato di saper fare bene cose (per ora solo alcune) che noi non sappiamo/vogliamo fare perché noiose, difficili e troppo time-spending per un umano. 

L’amministratore delegato di JPMorgan Chase, Jamie Dimon ha detto che l’intelligenza artificiale potrebbe consentire alle persone di lavorare solo tre giorni e mezzo a settimana; Bill Gates invece ne prevede solo tre. Qualcuno vuole dire due e mezzo? 

Tornando a noi, se alla prima domanda di quest’articolo avete risposto A, avete votato per l’ozio! Sia chiaro, non quello “indolente e pigro”, ma quello inteso dai latini, dove otium era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici. Tempo da dedicare alla creatività, peculiarità (per ora) ancora solo umana. Il filosofo Domenico De Masi7 l’ha teorizzato chiamandolo ozio creativo: una sintesi “hegeliana” tra queste due tesi e antitesi, tra: piacere e dovere.

Però ci resta ancora una trappola da evitare: la FOMO! Non è che oziando, mi sto perdendo qualcosa? Ecco che scatta la “fear of missing out” vanificando il tutto.

Tranquilli, la risposta è ovviamente… “sì”, ma dovete prenderne atto con serenità.8

Nel vostro nuovo tempo libero, potete dedicarvi ad attività comunemente rilassanti come ascoltare musica, leggere libri o guardare film (suggeriti da BookTokFilmTok), o dedicarvi alle vostre nuove passioni, qualunque esse siano, compreso il prepping, il geocaching o l’aquascaping (alzi la mano chi ne conosce almeno due su tre!).

L’importante è tenere sempre attivo il nostro tanto caro cervello, messo a rischio dal “Brain rot” –  Oxford Word of the Year 20249 – che possiamo definire come “il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, visto soprattutto come il risultato di un consumo eccessivo di materiale (ora in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo”. Semplificando: passare le ore scrollando senza pausa video brevi di scarsa qualità e valore.

Se “l’effetto Flynn10 è chiaramente esaurito (il nostro QI ha smesso di crescere e dagli anni 2000 ha iniziato la tendenza inversa), le cause sono probabilmente molteplici e possono solo essere ipotizzate, ma tra queste un ruolo importante viene assegnato allo sviluppo avuto dalle tecnologie “poco stimolanti”. 

Non sarebbe dunque una cattiva idea usare il tempo recuperato dal lavoro, l’ozio attivo, per nutrire l’intelligenza di ciò che le è più essenziale: cultura, conoscenza, condivisione

Se avete letto fino a qui, siete sulla buona strada. 

Grazie dell’attenzione.

*

Note

  1. Si parla del movimento FIRE anche facendo qualche calcolo sul sito Rame: https://www.rameplatform.com/articoli/come-raggiungere-la-indipendenza-finanziaria/ 
  2. Vedi https://www.nytimes.com/2021/04/21/technology/welcome-to-the-yolo-economy.html
  3. Unicorno è il modo in cui vengono chiamate startup private valutate almeno un miliardo di dollari. Il termine, coniato dal venture capitalist Alieen Lee, è stato usato per la prima volta in una pubblicazione del 2013.
  4. Crypto Whale (Balena) è il nome attribuito ad un individuo o entità che detiene grandi quantità di criptovalute, ad esempio, almeno 1.000 Bitcoin. Spesso sono sconosciute le loro identità, a volte risalgono agli albori delle crypto, ma sulla blockchain si vedono le loro tracce.
  5. “To the Moon“ è l’affermazione – spesso usata come meme – di chi crede che il bitcoin (e, per estensione, anche molte altre criptovalute) possano crescere di valore all’infinito raggiungendo quotazioni elevatissime.
  6. Cal Newport: https://www.roiedizioni.it/prodotto/libri/slow-productivity-cal-newport/ 
  7. De Masi: https://it.wikipedia.org/wiki/Ozio_creativo 
  8. Alice Avallone: “Dalla FOMO alla FOBO, la paura di rinunciare a scelte migliori
  9. Brain rot: https://corp.oup.com/news/brain-rot-named-oxford-word-of-the-year-2024/
  10. James R. Flynn: https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Flynn 
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