Dimenticate i grandi gesti romantici in stile Notting Hill, le lettere d’amore scritte a mano, i lenti suonati alla radio che facevano da colonna sonora alle nostre storie. Oggi l’amore si scrive nei DM, si manda con una reaction, si sospende con un messaggio lasciato su “visto” e si complica con l’onnipresenza dei social. Siamo più liberi? O più spaesati? Ci stiamo davvero liberando dalle vecchie gabbie dell’amore romantico o abbiamo solo trovato nuove forme per le stesse dinamiche di sempre?
Se c’è qualcuno che ha provato a rispondere a queste domande, è Annalisa Ambrosio. Filosofa di formazione, narratrice per vocazione, mente brillante che unisce il rigore del pensiero critico con la capacità di raccontare il presente in modo lucido e avvincente. Il suo nuovo libro, L’amore è cambiato. L’era post-romantica (Einaudi), è un’analisi affilata e appassionante sulle trasformazioni che stanno rivoluzionando il modo in cui viviamo le relazioni.
Non è un manuale di sopravvivenza all’amore moderno, né un elenco di consigli su come destreggiarsi tra ghosting, poliamore e Tinder. È una lente di ingrandimento sulla nostra epoca, un viaggio attraverso le relazioni della Generazione Z, le nuove forme di affetto e desiderio, la fluidità delle definizioni e il costante bisogno di connessione che, nonostante tutto, non è mai cambiato. Perché sì, l’amore si trasforma, si adatta, ma resta sempre uno dei motori più potenti delle nostre vite.
E poi c’è lei, Annalisa Ambrosio, una figura che non ama le definizioni rigide, proprio come le relazioni di cui scrive. Dopo una laurea in filosofia e un percorso alla Scuola Holden, dove oggi è direttrice didattica del corso di laurea in scrittura, ha esplorato il pensiero antico, la narrazione e il modo in cui le idee prendono forma nelle nostre vite. Ha raccontato Platone e Aristotele in chiave moderna, ha curato antologie scolastiche con Alessandro Baricco, e ora è qui a smontare e ricostruire l’idea di amore nel XXI secolo.
Abbiamo avuto il piacere di parlarle per scoprire di più sul suo libro, ma soprattutto per chiederle quello che tutti, sotto sotto, vogliamo sapere: dove sta andando l’amore? Come possiamo viverlo senza inciampare nei miti romantici del passato e nelle incertezze del presente? E soprattutto, esiste ancora un’idea di “per sempre” o è un concetto da archiviare?
Ecco cosa ci ha raccontato.

Annalisa, si parla tanto di amore fluido, ma alla fine ci piace ancora l’idea del grande amore, quello che dura, che resiste, che “ci salva”. È solo nostalgia di un romanticismo che non vogliamo lasciare andare o credere in un legame profondo ha ancora senso?
Penso che creare un legame profondo e duraturo abbia ancora assolutamente senso e sia un’esperienza molto degna di essere vissuta. Tempo fa un’amica, sapendo che mi stavo occupando dell’argomento, mi ha regalato un libro vintage dal titolo: Come far l’amore con la stessa persona per tutta la vita e sempre con piacere (autore Dagmar O’Connor, anno di pubblicazione 1987). La formula per riuscirci suona così: compensare l’abitudine con l’immaginazione. Penso che la stessa immaginazione fondamentale per far crescere sé stessi con le persone amate sia necessaria per comprendere che possono esistere anche forme di amore più liquide, come dici tu, o meno durature senza che siano per forza sbagliate o di serie B. Tuttavia, credo che conoscere una persona a fondo, parlare al suo cuore nonostante o forse proprio in virtù del tempo che passa e della vita in comune sia un’avventura ancora attuale e potente. Ciascuno di noi è un pozzo senza fondo di stati d’animo e desideri: io credo che se due persone si amano e continuano a tenersi aggiornate sul mistero che sono, annoiarsi a vicenda sia difficile.
Oggi l’identità è sempre più legata alle relazioni che scegliamo: coppia, non coppia, poliamore, amicizie profonde. Secondo te, questa libertà di scelta ci sta aiutando a definirci meglio o ci sta mandando in crisi perché non sappiamo più chi siamo senza una relazione?
Sinceramente credo che il bilancio sia positivo.
Siamo in una fase in cui non esiste più un galateo condiviso di codici, o meglio, non ne esiste più uno solo. Questo crea paura, confusione. Il concetto di “consenso”, per esempio, nasce proprio perché, nel momento in cui non c’è più un unico copione da seguire, non siamo più reciprocamente così sicuri che l’altro ci segua o intenda la forma di amore che vogliamo vivere noi. Credo, però, che sia normale procedere a tentoni, perché la libertà è complessa da abitare e da sostenere.
Tra i vantaggi della maggiore libertà di scelta penso che ci sia il fatto che siamo più disposti a “lasciare andare” delle relazioni che possono essere in qualche modo dannose per noi o per gli altri.
Penso che l’amore sia un sentimento paradossale, che si sottrae a tanti schemi, per esempio alla contrapposizione tra il concetto di “istinto” e quello di “scelta”. In amore il confine tra questi due momenti è continuamente in via di ridefinizione.
Tu insegni alla Scuola Holden, quindi vivi di storie e narrazione. Ma secondo te, ci raccontiamo ancora l’amore nello stesso modo? Il mito del “vissero felici e contenti” è definitivamente morto o è solo in attesa di un reboot in versione moderna?
Credo che rispetto all’amore, nel racconto contemporaneo, stia cambiando la nozione di che cosa è “destino”.
Prima il destino era inequivocabilmente un dono, qualcosa di già scritto, che ci proveniva da fuori, rispetto al quale dovevamo essere all’altezza. Ora credo che stiamo andando nella direzione di un mondo in cui il destino è il prodotto della nostra immaginazione, cioè la capacità di scriverle noi queste “storie d’amore”. Il fatto che il destino sia una trama ordita da noi con le persone che amiamo non penso gli tolga importanza, significa soltanto che se a un certo punto non ci ritroviamo più in quel destino siamo autorizzati a cambiarlo senza sentirci troppo colpevoli o falliti.
Credo che il “vissero felici e contenti” continui a essere una bellissima storia da scrivere e riscrivere, ma ogni tanto il materiale umano che dovrebbe interpretarla non è all’altezza e ne soffre. Quando questo scarto è troppo doloroso, forse si può cambiare finale.
La Gen Z ha un modo tutto suo di vivere l’amore: meno regole, più libertà, più fluidità. Ma secondo te, questa generazione è più avanti di tutti o sta solo sperimentando senza sapere bene cosa vuole? Qual è la loro più grande forza e la loro più grande fragilità quando si tratta di relazioni?
Credo che le nuove generazioni abbiamo un vocabolario molto più esteso degli adulti o delle generazioni che le hanno precedute per parlare di sentimenti. In parte il merito è della cultura psicanalitica, immagino: l’abitudine ad analizzare (appunto) ciò che ci passa dentro è cresciuta moltissimo negli ultimi anni, prima era pertinenza esclusiva di alcuni, per esempio degli artisti.
Non penso che per l’amore si possa parlare di un’evoluzione, diciamo, quindi non mi sento di dire che i giovani sono “più avanti”, ma di sicuro stanno sperimentando, imparando a capire che cosa desiderano proprio a partire da questi esperimenti.
La più grande forza che vedo nei giovani, se penso alle relazioni, è il concetto di bias, di punto cieco: in un mondo in cui non esiste più una sola verità, mi sembra che le persone giovani siano più attente di noi a prendere in considerazione anche quello di cui non hanno esperienza diretta, che non vedono. Sono più pronti ad accettare il diverso, le vite degli altri, sono meno convinti di noi di “sapere qual è la cosa giusta”. La più grande fragilità è l’altra faccia della medaglia: accettare le esperienze degli altri, il loro vissuto e punto di vista significa essere disposti a gestire un grande complessità. Prendiamo la questione di genere, per esempio, non dire più in maniera schematica che cosa è “maschio” e che cosa “femmina” è più difficile che non farlo, significa gestire una complessità maggiore…
E infine, se dovessi creare un’antologia dei “testi sacri” sull’amore oggi, quali autori o opere inseriresti? C’è qualcuno che, secondo te, ha davvero capito come funzionano le relazioni adesso?
Questa è una domanda bella e difficile.
Sicuramente raccomanderei la lettura di Intermezzo di Sally Rooney, insieme ad alcune pagine di Dove sei mondo bello, il suo libro precedente. Oltre a parlare di dolore, anche Una vita come tante di Hanya Yanagihara affronta un tratto contemporaneo della vicenda amorosa: la decisione “a tavolino” di due persone che trasformano la propria amicizia in un amore, nel momento in cui si rendono conto che sono da anni il più grande sostegno reciproco nell’affrontare la vita. E poi penso alla serie tv The Bear, alla rivalutazione che si può osservare lì del sentimento di amicizia: di fatto, tra le altre cose, vi si racconta anche come l’appartenenza a una brigata, a un collettivo, a un gruppo, certe volte possa essere un modo importante di amare e di costruire.
Non credo che ci sia ancora un vate in circolazione. Penso che resterà per sempre valida l’invocazione del poeta Wystan Hugh Auden: La verità, vi prego, sull’amore.