Ok, diciamolo a voce alta, ripetendo più volte come un mantra:
Il futuro non è prevedibile.
Il futuro non è al singolare.
Per esplorare i futuri serve l’immaginazione.
E allora perché sempre più spesso sono in tanti a volerci svelare “IL” futuro? Ad affermare di avere la risposta, la visione, il prodotto o la tecnologia del futuro?
Semplice, perché oggi, che viviamo radicalmente nel presente, parlare di futuro genera hype. Si proclamano slogan e annunciano obiettivi, si lanciano campagne pubblicitarie, si organizzano eventi. Ma il grande problema è che il futuro di cui tutti parlano, è quasi sempre il futuro al singolare e spesso non ha nulla a che vedere con i futuri preferibili a cui dovremmo tendere. Sarà quindi molto probabile che ci troviamo di fronte ad un caso di futurewashing.
Cos’è il futurewashing?
Questo neologismo, che ho letto per la prima volta in una presentazione del 2023 delle studiose di Foresight Arianna Mereu e Joice Preira1, mi è piaciuto perché ci rende comprensibile la questione grazie all’esperienza che abbiamo fatto con i tanti “-washing” in questi anni. Infatti il futurewashing – come il più famoso greenwashing nato 40 anni fa2 – indica un futuro solo “di facciata”, di comodo. La causa dei futuri non viene sposata per un reale intento di vantaggio della società, ma per un mero calcolo economico e di marketing.
Per certi brand dirsi “future proof”, a prova di futuro, senza esserlo davvero serve solo a farsi belli agli occhi del mercato e davanti agli stakeholders, ingannandoli. Peggio ancora quando parliamo di organizzazioni e decision maker che, consciamente o meno, possono così distrarci e condurci assai lontano dalla giusta via. Infatti, come accade per il greenwashing, si va ad offuscare, sminuire e coprire il necessario e invece positivo impegno di chi vorrebbe – citiamo l’Unesco tra tutti – portare il tema del corretto approccio ai futuri all’attenzione che merita: un concreto aiuto a muoversi in un’epoca attuale caratterizzata da cambiamenti troppo veloci, incertezza diffusa e pericoli globali.
Il Futuro Unico e le altre quattro manifestazioni del futurewashing
Rileggete le prime due righe del nostro mantra iniziale.
Capite dunque che quando sentite dire “previsione” e “futuro” qualcosa non torna, e state per incontrare un esempio di:
- Il Futuro Unico: definibile come la visione parziale e non priva di bias, o più conveniente, di qualcuno, persona/azienda/Stato.
Più semplicemente, il futuro immaginato e raccontato da un punto di vista dominante, che sia quello delle grandi aziende, delle élite tecnologiche o di certe culture occidentali, e che lascia poco spazio alla diversità di prospettive, modelli di sviluppo alternativi o soluzioni locali.
Il Futuro Unico viene descritto anche come la pratica di “colonizzare il futuro” imponendolo ad altri, così come nello spazio fisico è avvenuto per i territori geografici. Spazio quello dei futuri che appartiene a tutti, anche e soprattutto ai posteri, spazio aperto, territorio di scontro tra idee e visioni diverse di futuri preferibili. “Colonizzare”, espressione davvero efficace che appare spesso come preoccupazione negli scritti di Eleonora Barbieri Masini, considerata per il suo impegno e apporto, la “madre dei Futures Studies”3. E come vedremo, il tema della de-colonizzazione dei futuri è dibattuto già da tempo da intellettuali e studiosi, e purtroppo sempre (più) attuale.
Verrebbe infatti da pensare: ci hanno messo in guardia, noi non cadremo nel tranello di scambiare qualcosa di così prezioso con specchietti e collanine!
Eppure, sempre più spesso ci facciamo rifilare il futuro unico e “usato” di altri.
Tornando all’ottima presentazione di Mereu e Preira, le due studiose affermano che se il culto del Futuro Unico è una manifestazione evidente del futurewashing, non è però la sola. Loro ne identificano e illustrano altre quattro:
- La Lente Unica: che definiscono come «la narrazione o rappresentazione del futuro che si concentra unicamente sull’aspetto parziale (la lente) che mette nella luce migliore chi lo promuove, trascurando di considerare gli altri fattori.» Come avviene quando si promuove una tecnologia sul mercato, ignorando la concorrenza e i possibili vantaggi.
- La Direzione Unica: basata su stereotipi di tipo utopico o distopico, ipersemplificata, polarizzata. Come quando si vuole spingere ad ottenere ingiustificate reazioni di panico o entusiasmo (tutto si sistemerà, tutto è perduto).
- Il Metodo Unico: quello usato o inventato dall’autore della previsione, senza adottare la sistematicità e la pluralità tipica del Foresight professionale. Come vorrebbe il fuffaguru/veggente di turno.
- Il Pensiero Unico: quando si rafforza il pensiero corrente egemonico, lo status quo, invece di metterlo alla prova. Come mettere al centro la persona bianca, abile, cisgender, giovane e privilegiata, seppur rappresenta una minoranza planetaria.
Utopia e distopia, l’errore comune
Merita di essere approfondito un errore molto comune di queste previsioni a senso unico che è stata sopra indicata come la Direzione Unica: l’essere sostanzialmente accelerazione del presente in forma utopica o distopica.
Sono scenari non realistici, poiché non tengono conto che in ogni possibile futuro c’è sempre qualcosa di buono e qualcosa di meno buono come afferma spesso Marina Gorbis4, Executive Director dell’Institute for the Future (IFTF). Infatti, a ben pensarci, anche da uno scenario completamente negativo, come la distruzione, può avvenire una rinascita, così come uno scenario estremamente positivo, dove vige armonia, può dipendere da una forma di controllo totalitaristico.
Questo genere di “semplificazioni” utopiche e distopiche conducono alla polarizzazione e ci spingono alla passività di fronte ad un futuro visto come ineludibile. Fanno dunque il “gioco” di chi non vuole farci scorgere le possibili alternative.
Utopia e distopia svolgono bene il loro compito nella finzione, dove sono davvero utili come espedienti per portarci a discutere, ragionare, confrontarci tra noi. Altra cosa sono però gli Studi di Futuro, una disciplina rivolta alla identificazione imprescindibile di futuri possibili, plausibili e probabili.
Allora come si contrasta il Futuro Unico?
Dai 4 archetipi alla decolonizzazione del futuro
Uno dei modi per aiutarci ad immaginare scenari multipli in contrasto al Futuro Unico, è stato codificato dal grande futurista Jim Dator – non a caso autore anche del saggio “De-Colonizing The Future”5 – e consiste nell’identificare nelle nostre esplorazioni i “Quattro scenari archetipici di futuro” da lui individuati: crescita continua, collasso, disciplina, trasformazione6. Tenendo in considerazione appunto che: nessun archetipo è negativo o positivo, ma un mix di entrambe, e che per definirli si parte da identificare forze del cambiamento che possono essere in linea ma anche contraddittorie rispetto agli archetipi stessi. [Abbiamo già parlato su BUNS di scenari, in quel caso sono i cinque principali che Alice Avallone illustra in “Scenario planning: i cinque scenari del futuro”]
Qui vi riporto un passo dove Dator mette in guardia dall’uso del futuro unico:
«È mio dovere di futurista aiutarvi a considerare ciascuno dei quattro futuri in modo completo, equo e utile. Ed è vostro dovere, in modo serio ed equo, cercare di comprendere le prove a sostegno di ciascun futuro prima di decidere cosa ne pensate e quale sia il vostro futuro preferito. Quindi, ogni volta che pensate e pianificate i futuri, pensate e pianificate sempre tutti e quattro con la stessa serietà e completezza. Non privilegiatene uno rispetto agli altri.» (Dator, 2009)
Ma la citazione di Jim Dator che più amo – e certamente non solo io – è questa:
«Any useful idea about the future should appear to be ridiculous.»
che ci spinge davvero oltre i nostri confini mentali e culturali, ad osare e immaginare futuri radicalmente diversi dal (nostro) presente.
Ad esempio, la butto lì, avete mai sentito parlare del movimento Afro-futurista o del Solar Punk?
Schiacciati dal presente egemonico
targato Silicon Valley
Purtroppo sì, siamo schiacciati dal presente e concentrati sul nostro stile di vita occidentale imperniato sul guadagno – di denaro, d’attenzione o di riconoscimento sociale – e per questo siamo esposti, consciamente o meno, al rischio del futurwashing.
Basterebbe, come ci insegna il future thinking7, porci qualche volta domande come: “What if?; e se accadesse che…? immagina un mondo in cui…?”. Ma questo diventa impossibile imprigionati nel pensiero unico e polarizzante, senza tempo a disposizione e senza nessuno che ce l’abbia insegnato. Basterebbe esercitare il pensiero strategico, l’immaginazione, la creatività e la visione a lungo termine!
La stessa preoccupazione emerge nel libro “Occupare il futuro” (2022) di Roberto Paura8, Presidente dell’Italian Institute for the Future (IIF):
«Ci troviamo insomma nella condizione di dover provare a “riaprire il futuro” per poterlo rendere nuovamente pensabile, agibile, trasformabile. […] ad un certo punto abbiamo smesso di “immaginare” i futuri altro dal nostro, per ridurli a semplici varianti del presente. Il futuro diventa così un campo di battaglia dove idee, immagini e visioni diverse sono destinate a contrapporsi e a scontrarsi.»
Se è pur vero che gestire così tanto cambiamento in breve tempo è per noi essere umani cosa ardua, come siamo passati dall’information overload descritto nel lontano 1970 da Alvin Toffler in “Future Shock“, al “Present Shock” di Douglas Rushkoff del 2013?
Abbiamo corso a testa bassa spinti da un’idea di progresso che coincideva con l’innovazione, senza guardarci più intorno. Eppure è stato proprio Toffler ad avvisarci:
«In dealing with the future, it is far more important to be imaginative than to be right.»
In “Che fine ha fatto il futuro?” l’antropologo Marc Augé parla di un “presente egemonico”, una tirannia del presente, e di come il “tempo accelerato” ha fatto sì che la scienza entrasse nella storia. Siamo così finiti nel “regno della cosmo-tecnologia”.
Suona allora comprensibile quando Roberto Paura scrive:
«Il futuro come dimensione del possibile, del non ancora, del radicalmente altro rispetto al presente, ci è stato sottratto ed è oggi colonizzato e monopolizzato dall’1 per cento del mondo.»
Chi sia quell’1%, e quale rapporto abbia con la tecnologia, lo sappiamo tutti.
Stessa preoccupazione emerge forte in “Apologia del futuro” di Luca De Biase9 dove a più riprese si parla di come il progresso tecnologico e quello umano dovrebbero coesistere, come è necessario che avvenga in un sistema complesso, generandone uno sociotecnico. Invece ad oggi è la tecnologia e i suoi (pochi) protagonisti a dettare le narrazioni.
Il libro si apre con “Le 11 certezze sul futuro” dove De Biase scrive chiaramente:
«Tra i futuri c’è scelta. Ci sono molte luci in fondo al tunnel e molti tunnel arrivano a una luce. Se si vede un solo futuro è propaganda.»
Il Futuro Unico che ci si prospetta è il “futuro usato” di questi miliardari che non sanno immaginare alcun cambiamento dei valori, e vogliono portare il loro tecno-capitalismo su Marte o nel Metaverso ma senza essere sfiorati dall’idea che ci possa essere un futuro diverso dal capitalismo stesso.
La loro “filosofia” – che sembra più un’ideologia, o una quantomeno oscura utopia – è dettata da transumanesimo e longtermismo, con quest’ultimo che mette i diritti delle generazioni future che vivranno tra centinaia o migliaia di anni da oggi in competizione con quelli dell’umanità attuale. Direttiva primaria: evitare l’estinzione del genere umano, senza preoccuparsi troppo di insignificanti problematiche o diritti di chi vive oggi.
Il loro Futuro Unico presenta una umanità planetaria dove i migliori, ovvero scienziati e ricchi, prospereranno lasciando agli altri i resti di un pianeta Terra depredato delle sue risorse. Un Futuro Unico in cui il tecno-soluzionismo (per cui si confida ciecamente che solo la tecnologia sia utile e necessaria al progresso e che possa provvedere a tutto, anche renderci immortali) si sposa con il nuovo ruolo acquisito dall’Intelligenza Artificiale che presto, nella convinzione di autori come Kurzweil, darà forma alla singolarità.
Attivisti dei futuri: riappropriamoci
delle nostre infinite possibilità!
Quanto descritto finora non può che portarci ad una conclusione: praticare l’alfabetizzazione ai futuri è una forma di attivismo. È necessario insegnare alle persone a non cadere nel futurewashing e a riconoscere il Futuro Unico e le altre narrazioni fallaci.
Oggi, il futuro è una costruzione politica ed economica, e se vogliamo alternative, dobbiamo creare spazi di dibattito più inclusivi e democratici. Le decisioni chiave sul futuro, come l’IA o la lotta al cambiamento climatico, sono spesso prese da aziende private invece che da governi o società civili. Il futuro diventa uno “strumento di controllo” invece che di libertà.
Dobbiamo tornare ad immaginare la più vasta gamma di futuri possibili, magari a condividere “prototipi di idee” come ben dice De Biase, per metterle alla prova e far emergere le migliori.
Convinti che navigare un futuro incerto, è cosa da umani.
Grazie dell’attenzione.
*
== LETTURE per uscire dai nostri confini mentali e non
- Amitav Ghosh – La maledizione della noce moscata. Parabole per un pianeta in crisi (2022)
- Ariella Aïsha Azoulay – Potential History: Unlearning Imperialism (2019)
- Achille Mbembe – Brutalismo (2024)
- Lee Vinsel & Andrew L. Russell – The Innovation Delusion: How Our Obsession with the New Has Disrupted the Work That Matters Most (2020)
- Mark Fisher – Capitalist Realism: Is There No Alternative? (2009)
- Donna Haraway – Staying with the Trouble: Making Kin in the Chthulucene (2016)
- Jenny Andersson – The Future of the World: Futurology, Futurists, and the Struggle for the Post Cold War Imagination (2018)
== NOTE AL TESTO:
(1) “Futurewashing: when the future is just a façade” – Presentato al Convegno Nazionale di Futures Studies “Futuri (im)possibili“ di Napoli è disponibile online in licenza CreativeCommons BY Attribution. Poi rivisto e pubblicato in “FUTURI Magazine – n. 21”, del Maggio 2024
(2) Greenwashing: il termine si attribuisce all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che lo impiegò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale associato al lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà tale invito aveva motivi prevalentemente economici
(3) Se il tema dei Futures Studies ti appassiona, devi assolutamente leggere “Perché studiare il futuro?” di Eleonora Barbieri Masini, originariamente pubblicato nel 1993 con il titolo “Why Futures Studies”.
(4) Di Marina Gorbis vi segnalo anche questo: “Five Principles for Thinking Like a Futurist”
(5) Pubblicato nel 1975 all’interno di “The Next 25 Years: Crisis and Opportunity” e ripreso poi nel 2005 sul Journal of Futures Studies.
(6) Jim Dator li codifica mentre era all’Hawaii Research Center for Futures Studies, e li chiama “The Four Generic Images of the Futures of the Manoa School”.
(7) Il futures thinking è una disciplina per pensare al futuro in modo strutturato. Un buon testo per approcciarla è il recente “Abbecedario del futuro – Alfabetizzazione teorica e pratica di Futures Studies e Futures Thinking” di Nicoletta Boldrini per La Traccia Buona editore.
(8) “Occupare il futuro. Prevedere, anticipare e trasformare il mondo di domani” – Roberto Paura – 2022, Codice Edizioni.
(9) “Apologia del futuro” – Luca De Biase – 2024, Luiss University Press.