Uncensored. Unseen. Unlimited. Unknown. Unravel. Unforgettable. Unruly.
Unbelievable. Uncover. Unpredictable. Unleash. Unafraid. Underestimated.
Su una delle mie borse di tela preferite, svetta bianco su nero questa serie di aggettivi. Un caro ricordo di Berlino, dove ho scoperto Urban Nation, il primo museo al mondo dedicato alla street art: sul suo merchandising non potrebbe esserci una definizione migliore per la creatività urbana. Imprevedibile, contro le regole, senza limiti.
La street art può trasformare tutto ciò che è per strada in un’opera inedita, dai toret rosa di Torino alle scale-pianoforte di Valparaiso, in Cile. Così, murales, stencil, adesivi, video-mapping e installazioni entrano a far parte del tessuto urbano e cambiano volto ai quartieri, dando un significato diverso allo spazio abitato. Proprio per il suo potere trasformativo, la street art si è sempre contraddistinta per una forte componente sociale, indissolubile dal contesto di origine. Nel rapporto tra artista e ambiente, infatti, Martin Irvine, professore alla Georgetown University, riconosce “una profonda identificazione ed empatia con la città”.
Insomma, la street art dice molto di noi.
Ma cos’è esattamente?
“Tutto quello che sta in strada che non siano graffiti”
John Fekner, uno dei pionieri della street art, la semplifica così.
A differenza della graffiti-writing, infatti, l’arte urbana non è vincolata al solo uso dello spray o al lettering, lo studio di caratteri alfabetici con forme particolari, ma si esprime e si evolve in modalità diverse. Il fenomeno nasce a New York intorno agli anni Settanta, quando un gruppo di artisti comincia a operare per le strade e a vedere i luoghi pubblici come una galleria a cielo aperto – tra questi anche Jean Michel Basquiat e Keith Haring. Da lì in poi, la street art si diffonde un po’ ovunque con tre costanti:
- la filosofia del “meglio chiedere il perdono, che il permesso”;
- la volontà di cambiare la percezione dello spazio pubblico;
- la ricerca di dialogo con i passanti-spettatori.
In un primo momento, l’aspetto illegale dell’operazione artistica ha portato l’opinione pubblica a screditare la street art e a considerarla come puro atto di vandalismo. Tuttavia, negli ultimi anni c’è stato un cambiamento e si è affermato un vero e proprio trend.
Complice la fama indiscutibile di Banksy, lo street artist più conosciuto al mondo, a cui si devono opere come Kissing Coppers, Flower Thrower o il più recente Game Changer. Nel 2017, il Report di Artprice sul Mercato dell’Arte Contemporanea ha addirittura registrato un aumento delle vendite delle sue opere e di quelle di Shepard Fairey, noto come OBEY.
La street art sta vivendo il suo Rinascimento.
Oggi affiorano mostre, musei, festival dedicati e si fondano osservatori, come il più recente Inopinatum di Napoli, il primo centro studi sulla creatività urbana. La percezione comune sulla street art si è trasformata, riconoscendole una dignità artistica inedita. In un certo senso, si può parlare di post-street art.
In tutto questo, il digitale ha giocato un ruolo fondamentale per la sua raccolta, rielaborazione e diffusione, in particolare nella creazione di tour virtuali alla scoperta dei quartieri oltreoceano. Google Arts and Culture, un archivio che raccoglie immagini di opere d’arte in tutto il mondo, le ha riservato una sezione intera.
Non solo: la tecnologia ha permesso alla street art di sperimentare ed evolversi, come nel caso di MAUA, il Museo di Arte Urbana Aumentata. Grazie all’uso dell’app Bepart, infatti, è possibile animare opere e murales in realtà aumentata.
E vedere orsi polari 3D galleggiare in aria.
Ma la street art non è solo estetica: proprio perché si manifesta nelle strade, sotto gli occhi di tutti, è alla ricerca di una partecipazione attiva da parte dello spettatore. Come viene sottolineato in questo articolo, gli artisti “offrono al pubblico proposte, e non persuasioni”. L’intenzione è quella di costruire una cittadinanza consapevole che, nel caos visivo a cui è sottoposta ogni giorno, possa dare un nuovo senso al centro urbano.
Che sia indignazione, sorpresa o meraviglia, la street art non lascia indifferenti.
Diventa allora una forma di attivismo, un invito alla riflessione comunitaria, uno strumento per riprogettare le città.
Per protestare
L’abbiamo visto anche nelle ultime settimane, quando in tutto il mondo sono nate azioni di denuncia e solidarietà, legate al movimento di #blacklivesmatter, come quelle di New York. O ancora l’iniziativa di Jammie Holmes, in collaborazione con la galleria di Detroit Library Street Collective: le ultime parole di George Floyd sono apparse nei cieli di cinque città americane, come “un atto di coscienza sociale e protesta”.
Avrebbe avuto lo stesso effetto, se fatto in Norvegia?
Un altro esempio arriva da Bangalore con l’Aravani Art Project, un collettivo di artiste che dal 2016 cerca di dare voce alla comunità transgender in India, fortemente marginalizzata.
In un articolo di Artribune, emerge l’importanza dell’iniziativa e dei murales, il cui compito è quello di “ricordare a tutti, costantemente, quanta oppressione e discriminazione continui a esistere nei confronti delle persone transgender”. Per questo, caratteristica della street art è il suo essere site-specific: lo spazio e il contesto sono fondamentali per costruire il messaggio.
L’urgenza che ne emerge è quella di portare “la gente del posto” a riflettere sul significato profondo della protesta. O, almeno, a chiedersi perché proprio lì.
Per sensibilizzare
Un altro ruolo riscoperto dalla street art è quello della rigenerazione urbana che, tra polemiche e compromessi, ha cambiato l’aspetto di tantissimi quartieri nel mondo, in particolare nelle periferie. Da non-luoghi a punti di aggregazione.
Se da un lato l’arte urbana commissionata ha “stravolto” le sue stesse origini, dall’altro ha creato un terreno fertile per ripensare gli spazi pubblici.
Come a Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita, dove è stato lanciato il progetto Beautifying Riyadh’s Murals. L’intenzione è quella di migliorare la qualità di vita dei cittadini attraverso l’arte e la sensibilizzazione alla sostenibilità.
Ma anche in Italia non si scherza: di recente la Puglia ha investito quattro milioni di euro per la riqualificazione delle città attraverso la street art. Un modo per dire che le strade non sono fatte solo per essere attraversate, ma vanno vissute e comprese.
Anche alcuni brand hanno compreso la potenza comunicativa dell’arte urbana e contribuito alla causa. Lavazza, per esempio, ha promosso il progetto TOward2030, un’iniziativa che ha fatto da megafono ai Sustainable Development Goals dell’ONU nella città di Torino.
Per dialogare
“Parlare al muro” indica un’azione senza senso e inutile, ma se cambiassimo prospettiva?
La street art ha permesso a palazzi, strade, fermate dell’autobus di denunciare un problema, di sensibilizzare sui valori della comunità; in poche parole, di parlarci. Uno street artist, infatti, opera in un luogo pubblico per ricevere una reazione, per animare il quartiere con qualcosa di inaspettato. Spesso può trattarsi di un gioco, come quello di andare a caccia di Space Invaders, ma può essere anche un momento per dialogare con lo spazio circostante.
È il caso del progetto Before I Die di Candy Chang. Dopo la perdita di una persona a lei cara, l’artista decide di ridipingere la facciata di un edificio abbandonato con della vernice lavagna. Con l’aiuto di uno stencil, lo ricopre di tanti Prima di morire, vorrei___ e lascia spazio ai desideri del quartiere. Oggi ci sono più di 5000 muri simili sparsi per il mondo.
Diverso, ma comunque significativo dal punto di vista dell’interazione, è Graffiti for Smart City. Attraverso la digital street art, la startup ha cominciato a produrre smart wall per trasformarli in punti di aggregazione. Sono infrastrutture dotate di piastrelle particolari, che permettono ai cittadini di connettersi alle pareti e accedere a una serie di servizi.
Si potrà addirittura chiedere al muro di regolare la sosta dell’auto: c’è dell’incredibile.
In un momento storico in cui il senso passa attraverso l’immagine, in cui il visivo ha un potere enorme sulla nostra percezione del mondo, la street art ci offre diverse chiavi di lettura. E nel farlo, ci ricorda fragilità, paure, urgenze tutte umane.
Il lockdown ci ha allontanati dalle strade per tantissimo tempo, ma ora che siamo tornati ad abitarle, può la creatività urbana aiutarci a rielaborare il nostro senso di smarrimento?
Luca Borriello, direttore scientifico di Inward, pensa di sì. Infatti, “produrre arte all’interno di un contesto pubblico in cui ci si sente persi, attribuendogli nuovi sensi e significati, potrebbe rivelarsi fondamentale”.
Non posso che concordare.