Dark Light

Immaginate di fare terapia con più versioni di voi, dall’adolescenza alla vostra età attuale. Lo so, sarebbe un incubo: affrontare sé stessi e le scelte fatte in passato non è mai semplice. In alcuni casi, potrebbe addirittura finire in una rissa sanguinosa, come capita a un personaggio di Westworld nella terza stagione. William, l’Uomo in Nero, viene rinchiuso in una clinica psichiatrica e costretto ad affrontare i propri demoni: sé stesso. Grazie all’utilizzo di una realtà virtuale immersiva, infatti, si ritrova faccia a faccia con un William adolescente, uno di trent’anni e un altro ancora più maturo. Tutti insieme nella stessa stanza.

“Il cambiamento parte da te”, si dice spesso, ma non l’avevo mai intesa così letteralmente. Certo, non siamo ancora arrivati a quel punto, ma il digitale sta offrendo prospettive inedite nel rapporto tra psicologia e nuove tecnologie, trasformando l’atto stesso di fare terapia.

Se questa è la psicologia

L’immaginario sulla figura dello psicologo è molto variegato. Si spazia da chi ritiene che siano tutti psicoanalisti come Freud (a proposito, qui uno dei miei meme preferiti) e chi ancora non si fida. O chi si appassiona solo dopo aver guardato Criminal Minds o Mindhunter e chi non pagherebbe mai qualcuno per essere “semplicemente ascoltato”.

Insomma, c’è un po’ di confusione in giro.

La psicologia è la scienza che studia la psiche, intesa dallaTreccani come “il complesso delle funzioni e dei processi che danno all’individuo esperienza di sé e del mondo”. In altre parole, si pongono al centro dell’attenzione la mente e il comportamento umano. In base alle aree di intervento, esistono diverse psicologie, fra cui quella clinica, di comunità, della salute o del lavoro, ma condividono tutte una costante: la relazione con l’altro.

Si fa ancora fatica a parlare di salute mentale, ma secondo una ricerca dell’ENPAP, l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Psicologi, esiste una maggiore consapevolezza e richiesta di psicologia in Italia. Ciò è dovuto anche alla velocità con cui avvengono le trasformazioni oggi e alla necessità di comprendere un mondo in costante mutamento, infatti:

A questa sfida si aggiunge quella delle innovazioni digitali, che non solo hanno trasformato il modo di interpretare la realtà, ma anche l’interazione tra le persone. Si vengono così a creare nuovi ambienti sociali all’interno di quella che Joshua Meyrowitz, sociologo della comunicazione, definisce come “geografia situazionale”.

È lo scenario entro cui persone che abitano sistemi informativi, o meglio, “situazioni” diverse – in base a fattori come educazione, età, comunità di appartenenza – possono accedere al medesimo “luogo”. Se prima era la televisione, ora è Internet. I ruoli sociali e le relazioni si ridisegnano, così come i limiti di spazio e tempo, che possono non coincidere.

Le chat, le mail o le videocall sono solo uno dei tanti esempi di mediazione tecnologica, in base alla quale non occorre più ritrovarsi nello stesso luogo alla stessa ora per interagire con altri. Uno studio della Commissione Atti Tipici dell’Ordine degli Psicologici ritiene che sia proprio questo il primo grande cambiamento nella professione psicologica.

Tramite le innovazioni digitali, “l’intervento terapeutico non coincide più necessariamente con la condivisione dello stesso spazio”.

L’insostenibile leggerezza delle call su Skype

Un esempio arriva proprio da questi giorni di lockdown: l’isolamento e la mancanza di contatti sociali, infatti, possono causare ansia, stress, rabbia e depressione. In uno scenario simile, promuovere e curare il benessere mentale diventa una priorità. Così, c’è chi ha continuato a vedere online il proprio psicologo e chi invece ne ha cercato uno per la prima volta.

Piattaforme come Skype, Zoom o Whatsapp hanno permesso di costruire la relazione anche a distanza, garantendo la continuità del percorso. Secondo l’Ente di Ricerca Anima, infatti, sempre più professionisti offrono servizi psicologici online e ridefiniscono così il concetto di spazio terapeutico.

Ma questo cambiamento porta con sé alcuni limiti, tra cui la questione della privacy e la protezione di dati sensibili. Per questo nasce PSYDIT – Psychotherapy Digital Tools, una piattaforma che integra in sicurezza tutti gli strumenti di un percorso di psicoterapia, come videochat, expressive writing, cartella di dati clinici… È uno dei primi tentativi di regolarizzare l’ambiente digitale da una prospettiva professionale, per evitare la disorganicità e la confusione che hanno caratterizzato i primi tempi.

Piccole app crescono

E se il medico vi prescrivesse l’uso di un’app per stare meglio?

“Effettuare il download di X e accedere due volte al giorno, per tre settimane consecutive”, potrebbe scrivere sulla ricetta.

Questo scenario non sembra poi così lontano. Si sta parlando sempre di più delle Digital Therapeutics, software testati e validati clinicamente, che possono essere d’aiuto o addirittura sostituire le terapie tradizionali. Una volta introdotte sul mercato, vengono considerate come farmaci e quindi prescritte da medici, anche se al momento la normativa in Europa è ancora incerta. Il trattamento si basa sulla modifica del comportamento e degli stili di vita della singola persona; in molti casi si tratta di app.

Per quanto riguarda la salute mentale, i campi di intervento possono essere molteplici. Per ora esistono esempi come Sleepio, progettata per migliorare la qualità del sonno con il Prof e il suo cane narcolettico, Pavlov; o Daylight, un aiuto contro lo stress e l’ansia in un design semplice, chiaro, colorato (entrambe appartengono all’azienda Big Health).

Il riconoscimento delle Digital Therapeutics può segnare un primo traguardo nelle cosiddette app psicologiche della mHealth, mobile Health, dove il più delle volte manca la supervisione di un professionista sia nella progettazione che nella validazione del prodotto.

Quante volte vi è capitato di finire sull’Apple Store o su Google Play ed essere sommersi da applicazioni di coaching, mindfulness o strategie contro attacchi di panico? Come si fa a riconoscere quelli più validi? Ecco, creare strumenti affidabili di auto aiuto, soprattutto per chi non può accedere a trattamenti di cura “tradizionale”, può essere un altro passo importante nel rapporto psicologia e digitale.

La terapia ai tempi delle VR e IA

E se l’esperienza terapeutica fosse totalmente digitale e immersiva? La realtà virtuale rappresenta, infatti, un altro strumento utile alla psicologia, in particolare alla terapia cognitivo-comportamentale. Si distingue in immersiva e non immersiva. Nel primo caso, si ha la possibilità di ricreare al computer un ambiente tridimensionale, dove le persone possono “sentirsi presenti” e interagire con la simulazione come se fosse reale (tramite casco 3D e svariati sensori detti tracker).

Il fatto di trovarsi in un determinato scenario, con un’esposizione controllata di stimoli e difficoltà, aiuta i pazienti a superare fobie, problemi nella gestione dell’ansia e disturbi alimentari. La Samsung ha lanciato nel 2016 la campagna #BeFearless con due tecnologie di realtà virtuale: una legata alla paura dell’altezza, l’altra a quella del public speaking.

In Italia, invece, esiste Cave, un programma di riabilitazione sia fisica che psicologica dell’Istituto Auxologico Italiano, basata sulla simulazione virtuale. O ancora i progetti di IDEGO, start up che punta a integrare gli strumenti digitali al lavoro psicologico: ci sono realtà virtuali per la claustrofobia, la paura di volare o il trattamento del Disturbo Ossessivo Compulsivo.

In tutto questo, non dimenticatevi delle intelligenze artificiali.

Come il caso di Ellie, terapeuta virtuale, nel progetto Simsensei della University of Southern California. Una tecnologia in grado di riconoscere il disagio psicologico dei pazienti tramite le loro mimiche facciali, per individuare soprattutto chi soffre di depressione o i soldati con stress post-traumautico.

Un altro esempio più recente è Lucy, la psico-blogger del Centro Medico Santagostino: una chatbot capace di rispondere a domande su temi psicologici, per informare e orientare le persone al percorso più adatto.

Certo, le IA non sono ancora in grado di proporre un vero e proprio trattamento di cura, ma potrebbero acquisire un ruolo sempre più importante nella fase di valutazione e diagnosi.

Le innovazioni digitali hanno trasformato l’intervento psicologico, introducendo nuovi scenari e modi di relazionarsi: in alcuni casi, lo spazio fisico e la terapia vis à vis non sono più essenziali. Forse, proprio per questo, rappresentano oggi una grande opportunità, se si pensa all’accessibilità degli strumenti online o al distanziamento sociale dovuto al Covid-19.

È ancora difficile valutare l’efficacia a lungo termine di queste piattaforme, app, intelligenze artificiali, ma i primi passi sono stati fatti. Sembra chiaro che si stia andando verso una prospettiva simbiotica, piuttosto che sostitutiva del lavoro degli psicologi: l’elemento umano resta imprescindibile.

E chissà, magari un giorno mi troverò anch’io in una realtà virtuale, dove sarò costretta ad affrontare una Luisa tredicenne. Colpa sua se ho una fissa per le simmetrie.

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