Meraviglia e orgoglio di Torino, dell’Italia e del mondo intero: il Museo Egizio. Una collezione di cultura, storia e passione incredibile, una squadra preparatissima e un Direttore eccezionale rendono questa realtà unica nel suo genere. Ma come si comunicano storie millenarie così preziose ai tempi del social? Che cosa emoziona le persone a distanza di così tanti anni? E perché c’è tanto affetto intorno a queste sale e ai suoi reperti?
Il Museo al momento è su Facebook, Instagram, YouTube, Twitter e dal 2018 anche su LinkedIn. La strategia social è curata da un team formato da esseri umani e da un occhio digitale per foto e video che ha il nome di Bes, una divinità egizia il cui nome deriva dalla parola “proteggere”, associato alla protezione dei bambini e delle donne partorienti. Tra gli esseri umani ci sono Chiara Del Prete, Virginia Cimino e Divina Centore, egittologa del gruppo.
Abbiamo avuto la fortuna di fare due chiacchiere con loro.
Come si racconta sul digitale una realtà importante e internazionale come il Museo Egizio? Che cosa cercate di veicolare attraverso i social?
Cerchiamo di raccontare il Museo Egizio per quello che è: un luogo che conserva ed espone una collezione antichissima e un centro di ricerca internazionale, dove si incontrano quotidianamente studiosi di diverse discipline provenienti da tutto il mondo. Diciamo che un Museo così vivo offre sempre nuovi spunti, occasioni, opportunità per essere raccontato e cerchiamo di farlo sfruttando le possibilità che le piattaforme ci offrono.
Potrete trovare gli eventi e le attività per grandi e piccini, le conferenze egittologiche, i progetti di ricerca, la collezione, la storia del Museo e soprattutto le persone di ieri e di oggi, che hanno lavorato e lavorano per far crescere l’Egizio, con le loro diverse professionalità.
La nostra parola d’ordine è condivisione.
Il Museo custodisce reperti che hanno una storia millenaria, ma che ha ancora molto da dire a noi oggi. Cerchiamo quindi sempre di trovare punti di contatto con il presente: gli oggetti custoditi nelle vetrine sono simili a quelli che si trovano nelle nostre case! Inoltre, “online” abbiamo la possibilità di raccontare storie che non potrebbero essere contenute nel percorso di visita per motivi di spazio, ad esempio.
Abbiamo strategie differenti sui vari canali: Facebook, quello dove abbiamo più seguito, è dedicato in particolare alla promozione degli eventi, delle iniziative, alla storia del Museo. Sempre su Facebook cerchiamo di interagire con le community online che possano essere interessate alle tematiche da noi affrontate (amanti dell’antico Egitto, gruppi di studenti, appassionati di archeologia, ad esempio). Instagram è una sorta di “Museo virtuale” dove raccontiamo la collezione sia attraverso foto dei reperti, corredate da piccoli approfondimenti sul tema, che con le stories dei curatori che spiegano alcuni reperti. LinkedIn è utile per condividere le posizioni di lavoro aperte e creare contatti professionali.
Quali sono le caratteristiche del vostro pubblico più affezionato online? Quali sentimenti vi esprimono?
Il nostro pubblico ama l’Egitto con tutto quello che l’immaginario comune porta con sé, sebbene la politica del Museo sia quella di sfatare certi luoghi comuni. Tuttavia, i luoghi comuni possono essere un punto di partenza per raccontare, invece, quanto è possibile scoprire grazie alla ricerca scientifica e archeologica. La nuova mostra Archeologia Invisibile affronta proprio questa tematica. Venite a vederla! Anzi, a breve seguite la nostra “serie” su YouTube, dove i curatori e i ricercatori racconteranno gli aspetti più curiosi e affascinanti della ricerca.
Il nostro pubblico è molto affezionato, possiamo dirlo, esprime ammirazione, curiosità, voglia di imparare, entusiasmo: ci testimoniano spesso anche nostalgia per non poter essere presenti fisicamente agli eventi, a volte non risparmiano critiche. Il Museo è considerato un punto di riferimento, da cui ci si aspetta standard alti, nell’accoglienza e nei servizi.
Tra eventi, approfondimenti e aperture straordinarie, quali sono gli argomenti che raccolgono più interazioni online?
Il preferito dai nostri follower è il Direttore. È un pubblico molto curioso, che apprezza le spiegazioni sui geroglifici, sui papiri, sulle statue, sui sarcofagi… tanto da chiedere anche il bis! Spesso lanciamo anche dei contest per coinvolgere il pubblico. L’ultimo, legato alla mostra Archeologia Invisibile, ha permesso a una nostra follower di Instagram, di fare parte, con la foto di un suo binocolo, della sezione introduttiva dell’esposizione, dedicata alla biografia dell’oggetto.
In un periodo sociale così complesso, quali sono le polemiche e criticità che intercettate sulle vostre pagine social? Qual è la vostra politica su come reagire al riguardo?
Il periodo delle polemiche legate ai progetti di inclusione sociale, noto un po’ a tutti, è passato. Ci capita ancora di ricevere qualche critica sui progetti legati a questi temi, ma sono anche molteplici i messaggi di sostegno.
Le critiche sono comunque legate anche alla reputazione che il Museo ha… come dicevamo prima, ci si aspettano standard alti. Noi siamo molto felici quando le nostre pagine diventano un luogo di conversazione, possibilmente costruttiva. I numeri sono importanti, ma pensiamo che audience development significhi soprattutto costruire relazioni con il nostro pubblico, sia online sia offline.
Questo lo facciamo anche attraverso la moderazione dei messaggi o dei commenti, cercando di smorzare quelli più da “leoni da tastiera”. Inoltre, le osservazioni del nostro pubblico sono sempre molto preziose: ci aiutano a capire come migliorare la comunicazione sui social, quali sono le informazioni più utili o più interessanti.
Su Instagram, tra le foto geolocalizzate al Museo Egizio, quali soggetti riscuotono più successo tra chi decide di condividere gli scatti?
I soggetti che riscuotono più successo sono i reperti. Tra le sale preferite c’è sempre la Galleria dei Re, ma anche i particolari dei reperti sono oggetto dei post dei nostri follower.
Sethi I, Gemeneferhbach, Ramesse II, Butehamon, Tuthmosi, sono tra i più fotografati. C’è poi anche chi si fotografa con le statue, ma il reperto resta sempre il soggetto preferito.