Di fronte a crisi economiche, ansie legate al clima e conflitti globali, le persone cercano conforto attraverso la connessione con gli altri. Vogliono essere sicure che qualcuno sarà al loro fianco nei momenti difficili. Di conseguenza, le aspettative di cura e comprensione nelle interazioni con brand, sistemi sociali e persone sono più alte che mai. Molti non vedono più l’intelligenza emotiva come un valore aggiunto, ma come un requisito fondamentale.
Se consideriamo il Peach Fuzz, il colore dell’anno 2024 scelto da Pantone – una tonalità che “risuona con il nostro desiderio innato di vicinanza e connessione” – diventa chiaro che la comunità e la comprensione sono sempre più riconosciute come fondamenta della resilienza, necessarie per costruire una società più empatica e interconnessa. Con questa intervista, esploreremo il ruolo della gentilezza e della connessione umana in questo scenario complesso e in evoluzione. Scopriremo in che modo la gentilezza, nelle sue varie forme, può essere una risposta potente e necessaria per navigare i tempi difficili che viviamo.
La nostra ospite di oggi è Valentina Locatelli, esperta di comunicazione e scrittura. Valentina ama leggere e, soprattutto, ascoltare le storie degli altri, perché la sua curiosità è inarrestabile. È sempre alla ricerca di nuove prospettive e non smette mai di meravigliarsi. Tra i suoi progetti, ce n’è uno intimo e speciale, la newsletter Morbido, dedicata proprio alla gentilezza.
Come scrive Valentina nel suo primo numero, in un’epoca in cui tutto scorre veloce e spesso a testa bassa, la gentilezza è diventata un sentimento raro. Essere gentili richiede infatti prima di tutto la capacità di “accorgersi” degli altri e del mondo che ci circonda. È necessario uno sguardo libero, aperto e fiducioso, capace di lasciarsi toccare da ciò che accade intorno a noi. Eppure, oggi siamo spesso troppo occupati a riempire il nostro tempo e i nostri occhi di cose, perdendo così la possibilità di cogliere ciò che è veramente significativo. La gentilezza richiede anche responsabilità: saper prendere l’iniziativa di un gesto gentile, un’azione che spesso risulta essere la parte più difficile.
Abbiamo letto tra le tue parole che, come ogni muscolo, anche la gentilezza si allena: più la pratichi, più diventa spontanea. Se esistesse una scuola di gentilezza, quali sarebbero i compiti da svolgere a casa?
Il primo passo è essere gentili verso se stessi. Uno dei passatempi preferiti degli esseri umani è giudicarsi, arrovellarsi sui propri difetti e sbagli, perdonarsi poco. Penso che essere più morbidi con se stessi incoraggi l’esserlo anche con gli altri.
Fondamentale poi è l’osservazione: connettersi al luogo e al momento, drizzare le antenne e guardare quello che ci sta capitando intorno, soffermandosi sulle azioni, sulle espressioni delle persone vicine a noi. L’ultimo compito che mi sentirei di dare, il più difficile, è provare a mettersi nei panni degli altri: se fossi quel signore in strada, quella mamma al supermercato, cosa mi sarebbe proprio d’aiuto in questo momento? O semplicemente, cosa mi farebbe piacere?
Gli habitat digitali ci hanno reso più maleducati oppure lo siamo sempre stati?
Gli habitat digitali ci hanno tolto la possibilità di essere nella stessa stanza con qualcuno durante una conversazione, di guardarci in faccia per vedere il riflesso di quello che stiamo facendo negli occhi dell’altro. Ogni nostro comportamento ha un impatto su un corpo, la tecnologia ci ha privato della possibilità di vedere il nostro impatto, che è fondamentale per imparare a relazionarsi. Pensa ai bambini: quando iniziano a rapportarsi con i loro coetanei mordono, li spintonano, tirano i capelli, gli tolgono il ciuccio. Sono molto fisici sia perché non hanno altri strumenti per esprimersi in quel momento, sia perché vogliono vedere l’effetto delle loro azioni: è un elemento necessario per misurare i propri comportamenti futuri.
Oggi lanciamo nel vuoto le nostre opinioni senza vederne l’impatto, non saprei dire se per menefreghismo o perché siamo abituati a scagliare frecce al cielo senza vedere dove cadono. Quindi no, non siamo sempre stati maleducati e forse non è l’aggettivo giusto che ci meritiamo oggi: siamo insensibili, ma perché la sensibilità è questione di vicinanza, oltre che di intelligenza. Se non siamo vicini, contemporanei, è molto difficile immedesimarsi nell’altro.
Sei anche mamma di un bimbo. Senti la responsabilità di insegnare la gentilezza? Cosa possiamo insegnare alla nuova generazione?
Ora ti dirò una cosa molto personale. Avevo una gran paura che mi succedesse qualcosa durante il parto e chiesi al mio compagno, se mai avesse dovuto crescere nostro figlio da solo, di insegnarli tre cose fondamentali per me: il valore della famiglia, la capacità di lasciarsi sorprendere e la gentilezza.
Come ogni cosa, in cui vale l’esempio più delle parole, penso che l’unico modo per insegnare ai nostri figli la gentilezza sia esserlo. Con loro, con le persone con cui interagiamo davanti a loro, con noi stessi. Con mio figlio Lucio provo sempre a cercare la via più morbida per risolvere le cose, sento che è più rispettoso nei suoi confronti. Spesso ho la sensazione che sia una lingua sottovalutata ma che in realtà i bambini e le bambine la comprendano e interiorizzino molto meglio di altre, soprattutto a lungo termine.
Alla nuova generazione possiamo insegnare la responsabilità delle nostre azioni. Che abbiamo la bellissima opportunità di instaurare relazione sane con le persone che ci circondano, che abbiamo la capacità di cambiare il corso della giornata a qualcuno, magari addirittura la vita di qualcuno. È importante far passare il valore dei piccoli gesti e dell’essere presenti nel momento. Trenta, quarant’anni fa non era nemmeno un tema perché era l’unico modo in cui vivevamo ma oggi, con lo smartphone sempre in mano, è un approccio da imparare.
La tua newsletter si chiama Morbido. È un aggettivo molto giusto. Quali sono le storie più “morbide” che hai intercettato negli ultimi tempi?
Ho incontrato persone morbide che hanno creato progetti a loro immagine e somiglianza.
Lorenza Gentile di recente ha scritto un libro per bambini che parla proprio di apertura verso gli altri, si chiama “La mosca gentile” e tiene dentro diversità, pregiudizi, amicizia, sensibilità.
Serena Mabilia è un’illustratrice che con pochi tratti a matita ricrea il calore, l’intimità e la bellezza delle piccole cose. Guardando i suoi disegni sentiamo che è proprio quello di cui abbiamo bisogno.
Andrea M. Alesci di lavoro racconta storie ai bambini, si lascia toccare così tanto dal loro approccio che ha scritto due libri dedicati alla scoperta del mondo attraverso i loro occhi.
Infine, una domanda più personale. Qual è stato un momento in cui la gentilezza, magari anche invisibile o discreta, ha fatto una grande differenza nella tua vita?
La maggior parte dei gesti gentili sono stati quelli inaspettati. La sorpresa penso sia una componente molto importante della gentilezza. Al primo viaggio in aereo di mio figlio un assistente di volo ha fatto di tutto per farci sentire a nostro agio e intrattenere Lucio. Ha creato un bellissimo ricordo e ha reso questa prima esperienza in tre facile da gestire.
Di recente sono stata a un matrimonio, sfortuna vuole che proprio quel giorno avessi la febbre molto alta e per una buona parte del ricevimento sono rimasta abbandonata su un divano in un angolo. Una ragazza del catering passava continuamente a offrirmi acqua, cibo… mi ha confortata molto in quel momento difficile, penso che non dimenticherò mai i suoi occhi gentili. Avrei solo voluto essere a casa, e lei mi ci ha fatta sentire.
Per rispondere meglio alla tua domanda, la grande differenza è stata quando ho iniziato ad accorgermi di quanta gentilezza ricevessi ogni giorno. Era nascosta dappertutto. E il vero impatto che ha avuto sulla mia vita è la fiducia che ho imparato a nutrire per le persone, oltre alla consapevolezza che chiunque può avere un impatto positivo su di noi, come noi sugli altri. Siamo bellissimi, dovremmo darci più spesso la possibilità di scoprirlo.