Foto a lato e nel testo di © Nicola Tanzini
I Wanna Be An Influencer
#23 Hong Kong, 2019_pagina 36
Pubblicato da Skira editore e arrivato nelle librerie nell’ottobre del 2022, I Wanna Be An Influencer è un viaggio fotografico che esplora la nuova mappa dei luoghi, tracciata attraverso le scelte degli influencer. Questa categoria sociale, diventata negli ultimi dieci anni un punto di riferimento imprescindibile per la promozione di ogni tipo di prodotto – dall’abbigliamento alla cosmetica, fino al turismo e alle nuove destinazioni da scoprire – ha trasformato il modo in cui percepiamo i luoghi.
Nicola Tanzini, fotografo e autore del libro, riflette su uno dei fenomeni distintivi del turismo nell’era di Instagram: destinazioni, che siano già famose o sconosciute, diventano mete desiderate grazie all’effetto trainante degli influencer. Questo flusso genera un’ondata di aspiranti influencer che, alla ricerca della perfetta “instagrammabilità”, replicano pose, atteggiamenti e comportamenti tipici.
Il libro è un caleidoscopio di immagini catturate dietro le quinte di una vera e propria comunità che vive di condivisione istantanea, in luoghi che hanno acquisito un nuovo significato. Con uno sguardo attento e ironico, Tanzini documenta pose improbabili e prospettive audaci, offrendo uno spaccato visivo del mondo degli influencer e dei “nuovi altrove” che popolano.
Più in generale, la ricerca di Tanzini si ispira alla fotografia umanista, concentrandosi su comportamenti e situazioni quotidiane dell’essere umano. Ha fondato il progetto itinerante Street Diaries, dedicato alla fotografia di strada. Nel 2018 ha pubblicato Tokyo Tsukiji (ContrastoBooks), l’ultimo reportage sul più grande mercato ittico del mondo. E le sue opere sono presenti in collezioni museali come il Museo d’Arte Orientale di Genova e il Civico Museo d’Arte Orientale di Trieste.
Oggi abbiamo scelto di fare due chiacchiere con la curatrice del volume I Wanna Be An Influencer, Benedetta Donato – curatrice e critica di fotografia, si occupa di mostre e progetti editoriali nel campo della cultura visiva. È direttrice del RCA – Romano Cagnoni Award, prestigioso premio internazionale di fotogiornalismo promosso dalla Fondazione Romano Cagnoni, di cui è anche membro del Consiglio di Amministrazione. Collabora con musei, gallerie e festival di rilievo, ed è coinvolta in parecchie pubblicazioni, tra cui l’Enciclopedia dell’Arte Contemporanea Treccani e l’Accademia di Fotografia 2022-2023 del Corriere della Sera e Nikon. Lettrice di portfolio e giurata in eventi internazionali, è nominator per il Leica Oskar Barnack Award.
Buona lettura.
Partiamo dal principio. Come e quando nasce il primo scatto di questa collezione di influencer wanna be? E come nasce l’idea di mappare il fenomeno e trasformarlo in un volume?
Nicola pensava già da tempo ad una ricerca sui nuovi comportamenti sociali, in riferimento alle scelte turistiche e a come queste ultime giocassero un ruolo significativo rispetto alla trasformazione del senso che attribuiamo ai luoghi.
Ogni suo progetto nasce dall’osservazione attenta dell’oggetto di studio, documentandosi su ciò che ha messo a fuoco, andando a ricercare spunti e fonti, per alimentare discorso, che necessariamente diventa di lungo termine. Una narrazione ampia che richiede tempo per essere articolata e il giusto spazio per essere proposta. L’unico contenitore possibile per questo tipo di racconto era un libro che accogliesse fotografie e contributi specifici, in grado di far comprendere questo fenomeno. Si tratta di un primo tentativo di mappatura di luoghi, tra quelli tradizionalmente riconosciuti come turistici e quelli che diventano mete ambite, e che hanno come comune denominatore i soggetti che li scelgono come teatro dei loro scatti, per post acchiappa like.
Spesso il termine influencer assume una connotazione un po’ negativa, come se fosse qualcosa di superficiale, figlia di un’era digitale frivola. È davvero solo questo, secondo te?
Direi di no. Proprio attraverso la realizzazione di questo libro, ho potuto capire qualcosa in più di un ambito che non conoscevo. Credo sia la visione che ha la nostra generazione, di chi ha superato i 40 anni e a cui sfuggono dinamiche ben più complesse. Noto, ad esempio, come reagiscono genitori e figli di fronte a questo libro. I primi criticano gli atteggiamenti assunti da influencer o aspiranti tali; i secondi si soffermano su un discorso di community e di modalità di comunicazione, di cui non siamo a conoscenza e varrebbe la pena di comprendere.
C’è uno scatto cui ciascuno di voi è particolarmente legato, e se sì, a che pagina lo troviamo e perché lo scegliete?
Ce ne sono molti, ma tra quelli che trovo più significativi c’è la fotografia che troviamo a pagina 36 (n.d.r. qui a fianco tagliata e qui sotto integrale). Perché in questa non troviamo luoghi riconoscibili come il Colosseo o la Torre di Pisa, bensì un luogo anonimo, in mezzo a dei palazzi. Se vogliamo anche non esteticamente appetibile, cui però viene riconosciuta un’importanza particolare che risiede nell’essere instagrammabile.
In questa fotografia, l’unico elemento “tradizionale” è il bambino che sfreccia sul suo monopattino, in quello che pare essere un anonimo grande cortile o piazzale. Guardando l’immagine, tutto ciò che è intorno al bambino, riguarda persone, singole o in gruppo, intente a realizzare dei ritratti per testimoniare che si è in quel preciso luogo: chi è in posa, chi guarda lo scatto appena realizzato tramite la macchina fotografica o il telefonino. Il bambino che gioca diventa quindi l’elemento estraneo e di rottura, tra scene di ordinaria ricerca dello scatto perfetto nel luogo che, per qualcuno, molti evidentemente, rappresenta qualcosa di significativo. Questa fotografia appartiene alla serie da cui è stata scelta l’immagine per la quarta di copertina.
Monumenti e scorci iconici, ma anche “non-luoghi” che fanno da sfondo a gesti e posture che emulano i grandi set fotografici. Come mai? Qual è la ragione della loro scelta?
Sono luoghi in cui si riconoscono. Il luogo diventa una sorta di collante, il fil rouge per instaurare un canale di comunicazione del quale fanno parte le posture e gli atteggiamenti assunti. Credo che dal “non-luogo” di Marc Augé si passi ad un luogo che, al contrario, è funzionale a costruire un tipo di relazione nuova e ad affermare l’identità di chi vi sosta. Sicuramente non si tratta di relazioni che si realizzano tra individui che sono lì nello stesso momento, ma tra individui che possono dimostrare di esserci stati, attraverso quel flusso di comunicazione messo in atto sui social network. Potremmo forse dire che il luogo instagrammabile è trasversale al non-luogo così come al luogo che ha una sua valenza storica o antropologica. Ed è un concetto di luogo dinamico, perché destinato a non esserlo per sempre, ma a cambiare, in base ai gusti e alle preferenze di una collettività.
Protagonismo? Eccesso di vanità? Solitudine? Qual è la vostra chiave di lettura davanti a queste immagini, da autore e da curatrice?
Probabilmente queste componenti sono presenti, così come anche la voglia di appartenere ad una comunità, di testimoniare che la propria esistenza si caratterizza anche attraverso questa sorta di rito di passaggio.
Le immagini necessitano di essere osservate a più livelli di lettura. Esiste un primo livello in cui percepiamo una sensazione immediata della rappresentazione di una realtà. Un secondo livello in cui tentiamo di comprendere il contesto, un ulteriore livello in cui veniamo attratti da un dettaglio, un altro ancora in cui cerchiamo di capire il punto di vista dell’autore e ancora uno in cui metabolizziamo quell’immagine, domandandoci cosa abbiamo recepito.
La mia opinione su questo argomento cambia e si arricchisce di riflessioni ulteriori, ogni volta che presentiamo questo lavoro ad un nuovo pubblico. Ascoltiamo gli interventi delle persone, le domande, le osservazioni, da cui nascono dibattiti molto interessanti e forieri di nuovi spunti. Lo scambio continua e si alimenta ininterrottamente proprio grazie alla forma che è stata scelta per questo lavoro. Il libro come oggetto che si può continuare a sfogliare nel tempo e che ci offre nuove chiavi di lettura rispetto alle immagini che vediamo.