Scuro Chiaro

Anche oggi, partiamo da una domanda: ma in un mondo in cui domina il digitale, in che modo le pubblicazioni dei brand possono lasciare il segno? Quando la rivista The Face ha cessato di essere pubblicata nel 2004, è successo che a catena ne sono scomparse tante altre; a sopravvivere sono state in poche, come Dazed -orientate da tempo verso una strategia digitale, con una frequenza di pubblicazione più bassa per rimanere competitive. La stampa è stata in gran parte derisa e data per spacciata, e gli editori si sono mossi freneticamente per allinearsi alle offerte digitali e ai social media, dove i loro lettori stavano consumando più contenuti. Eppure, i dati oggi ci dicono altro.

Certo, celebrare la risurrezione della stampa è alquanto ottimistico, dato che le vendite delle prime 100 riviste sono diminuite di oltre il 50% dal 2000. Tuttavia, se per gli editori la situazione è allarmante, le cose sembrano diverse per le riviste di brand. A differenza delle loro controparti tradizionali, i marchi che lanciano pubblicazioni cartacee, come Bumble, Lush e Overheard LA, non usano la stampa come principale fonte di reddito, ma sfruttano la carta per coinvolgere il proprio pubblico. L’investimento nella stampa risponde al fatto che le Generazioni Z e Y sono in gran parte alla ricerca di esperienze fisiche per compensare l’impatto di una connessione sempre attiva alla Rete. Uno studio UNiDAYS, ad esempio, ha scoperto che il 77% degli Z preferisce leggere libri stampati. Ecco perché non sorprende che i brand stiano espandendo il loro pubblico nell’analogico, integrando così la loro effimera presenza online.

Il legame tra brand e riviste ha radici antiche, e affondano nell’iniziativa di John Deere – una delle principali aziende al mondo produttrice di macchine agricole – che ne pubblicò una nel 1872. Il suo magazine The Furrow nel 1912 stava raggiungendo i quattro milioni di persone e si stava dimostrando un fenomeno di content marketing del XIX secolo eccezionale. Verso gli anni ’20 poi, la radio appena inventata ha messo la stampa nell’ombra abbastanza rapidamente: era un mezzo più immediato, raggiungeva un pubblico più vasto e non richiedeva l’alfabetizzazione. E infatti non sorprende che i giornali temessero che la radio li avrebbe fatti fallire. Proprio come è successo con l’avvento del digitale.

Il potere della carta stampata è anche il suo punto debole percepito: la sua incapacità di muoversi e trasformarsi velocemente come invece fa la sfera digitale. Anche Martin Lindstrom, esperto di branding e small data, crede che la tecnologia ci stia facendo desiderare esperienze più tattili, qualcosa in cui la stampa eccelle. Come dice qui, in passato, la stampa era un mezzo di comunicazione, ora sta diventando un mezzo di stimoli sensoriali. Risultato: un aumento di media fisici che, unito al crescente interesse per l’artigianato, conferma proprio un desiderio di riconnettersi alle cose che si possono tenere in mano.

Siamo in un momento storico in cui la fiducia è ai minimi storici. L’uso della stampa offre un’immediata sensazione di autorevolezza: la stampa è costosa da produrre, pertanto deve esserci un valore nel suo contenuto che ne giustifichi la scelta. Oltre al valore, la ricerca neuroscientifica ha scoperto che tutti i nostri sensi sono stimolati quando leggiamo sulla carta e, quando ciò accade, conserviamo più informazioni. In effetti, le persone hanno il 75% in più di probabilità di ricordare qualcosa che hanno letto su carta e solo il 44% in più con i media digitali. Il New York Times ha lavorato, ad esempio, alla campagna multimediale “Truth is Hard“, cercando di rafforzare la fiducia dei propri lettori per avere un impatto duraturo.

Per Bumble, l’app di incontri che consente alle donne di fare la prima mossa, affiancare un supporto stampato è stato un gioco da ragazzi. Lanciata nell’aprile 2018 e strutturata come l’app, la rivista tratta di incontri, carriera, amicizia, benessere e vita in generale; è distribuito a oltre 3.000 ambasciatori e membri della community che ne fanno richiesta tramite l’app.

Altrettanto affezionato è il pubblico di Lush Times: da quando ha abbandonato i social media nel Regno Unito, il brand di bellezza ha mirato a mantenere il rapporto con i clienti attraverso la sua rivista, oltre a investire di più nelle esperienze dei suoi negozi fisici. Il già citato Overheard LA è un altro esempio non convenzionale. Questo account Instagram tanto amato dalla Generazione Y si è ampliato con il giornale su carta The Overheard Post confermando quanto le riviste su carta abbiano forti connotazioni hipster.

Un’altra cosa va aggiunta: tra tutte, in realtà, sono le pubblicazioni del settore che stanno riscuotendo maggior successo. La catena di negozi di generi alimentari Tesco ha sempre puntato a mattere al centro i propri clienti, sin dal lancio della sua Clubcard nel 1995, ma avere riviste consente oggi all’azienda di veicolare le informazioni al massimo. La divisione dei contenuti tra cibo, famiglia e vita si è rivelata vincente, tanto che registra comodamente i 5,2 milioni di lettori al mese.

E infine, la piattaforma Ink di Michael Keating e Simon Leslie crea 30 riviste per il volo in 10 lingue diverse e serve grandi compagnie come United Airlines, Virgin Atlantic e Qatar Airways. Le pubblicazioni raggiungono 802 milioni di passeggeri, manna dal cielo per i suoi 10.000 inserzionisti. Quando Ink produceva l’ormai defunta rivista Rhapsody – la rivista di lusso, lifestyle e cultura di United Airlines per i passeggeri di prima classe – aveva affermato di avere più di 13 milioni di lettori al suo apice.

Potere della stampa: è di nicchia, e al tempo stesso è capace di coltivare lettori fedeli e altamente coinvolti.

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