Scuro Chiaro

Oggi ci immergiamo nel mondo digitale del Forum dei Brutti, una vasta e controversa comunità online che, tra liti e separazioni interne, esiste ormai da oltre 13 anni. I numeri aggiornati alla data odierna sono impressionanti: 813.856 messaggi pubblicati, 42.936 discussioni avviate, 14.032 utenti registrati e ben 5.522.894 visite totali, con una media mensile di 73.293 accessi. Dietro questi dati si nasconde un movimento più ampio e complesso, legato alla cultura incel, abbreviazione di “involuntary celibacy” (celibato involontario), un gruppo di uomini che si definiscono incapaci di trovare una partner nonostante i loro desideri e sforzi.

Le radici

Il fenomeno incel, che ha trovato ampio spazio su piattaforme come ilredpillatore.org, è caratterizzato da una visione profondamente pessimistica delle dinamiche relazionali e sessuali nella società moderna. Su questo sito vengono delineati alcuni punti chiave che riflettono il pensiero predominante degli incel. Tra questi, vi è l’idea che le relazioni amorose siano regolate da ferree gerarchie basate sull’aspetto fisico, dove solo i più attraenti – spesso definiti “Chad” nel gergo della comunità – riescono a ottenere successo con le donne. Gli incel, invece, si percepiscono come esclusi da questo sistema per via di fattori fisici o sociali che ritengono insuperabili.

“Uomini e donne sono biologicamente differenti, non solo fisicamente ma anche psicologicamente. Sia uomini che donne sono accomunati da due motivazioni principali: sopravvivere e riprodursi. Il valore di mercato di una donna è dato principalmente dalla sua bellezza (riproduzione), mentre il valore di mercato di un uomo è dato dalla sua bellezza (riproduzione) e dal suo status socioeconomico (sopravvivenza). La bellezza, contrariamente a quanto si pensa, non è soggettiva ma è oggettiva. Le donne sono più selettive degli uomini perché nel rapporto sessuale corrono il rischio della gravidanza. Il sesso è uno degli impulsi più forti della natura umana quindi avere un elevato valore di mercato attribuisce un potere a chi lo possiede.”

L’analisi

Attraverso l’analisi degli small data emersi dal forum, è possibile approfondire ulteriormente il fenomeno, esplorando gli insight emotivi e psicologici che tengono unita questa comunità online. Uno dei primi aspetti che emerge è la complessità dei contenuti: non si può semplicemente liquidare tutto sotto l’etichetta dell’odio. Infatti, dietro i messaggi di frustrazione e risentimento si celano dinamiche più articolate che coinvolgono il cambiamento dei ruoli di genere e la percezione di una perdita di potere da parte di alcuni uomini.

L’emancipazione femminile e i movimenti sociali recenti, come il #MeToo, hanno generato profondi cambiamenti nelle dinamiche tra i generi. Molti uomini, soprattutto quelli che già vivevano un senso di isolamento o inadeguatezza, hanno percepito un crollo delle loro certezze. Tradizionalmente, la donna era vista come dipendente dall’uomo in diversi ambiti, e la progressiva indipendenza femminile ha contribuito a innescare in alcuni uomini un senso di vulnerabilità e perdita di controllo. Questo senso di smarrimento ha alimentato in alcune comunità online la paura del confronto con le donne, in particolare con quelle che incarnano canoni di bellezza elevati.

La paura delle donne (belle)

Un insight particolarmente significativo è la manifestazione della venustrafobia, ovvero la paura delle donne belle. Questo termine poco conosciuto rappresenta un tratto ricorrente nei forum come il Forum dei Brutti. Il confronto con donne attraenti viene percepito come minaccioso non solo per la loro bellezza fisica, ma anche per il potere che queste donne, in quanto simbolo di desiderio e status, sembrano esercitare sugli uomini. La paura di essere rifiutati o umiliati amplifica ulteriormente questa fobia, portando molti membri della comunità a evitare del tutto l’interazione con l’altro sesso. Scrive un utente:

“Essere brutti significa vedersi precluse esperienze che ti segnano per il resto della vita. Le chiacchiere degli psicologi o i farmaci degli psichiatri non alterano la realtà o cancellano il vissuto. La bruttezza non è un handicap (magari verrebbe riconosciuta come tale), è una colpa. Per rendersene conto basta vedere come le donne trattano i brutti.”

Il dialogo interno al forum spesso verte attorno a queste insicurezze, con discussioni che cercano di razionalizzare il rifiuto delle donne e il senso di impotenza maschile in un contesto sociale che, a loro avviso, premia sempre meno l’uomo comune. Questo sentimento di disorientamento e paura, sebbene talvolta espresso attraverso linguaggi estremi o di odio, rivela in realtà una radice più profonda, legata al cambiamento dei ruoli sociali e alla difficoltà di adattarsi a un mondo dove il potere relazionale e sessuale appare più equilibrato o addirittura sbilanciato a favore delle donne. Si legge:

“Anche io ho questa paura. Direi sia dovuto alla fusione tra la voglia di conoscere quella ragazza e/o di fare bella figura e la perenne concezione di noi stessi come esseri inferiori ed indegni. Si crea incompatibilità: da un lato una bella donna circondata da diversi contendenti delle alte sfere (rispetto a te), che può definirsi santa solo per il fatto di non sputarci in faccia (ne avrebbe tutto il diritto) e dall’altra un misero uomo, la cui vita è retta da illusioni. Poi questo dipende da persona a persona: nel mio caso la mia pochezza sociale non è dovuta così tanto all’aspetto, bensì ad una serie di complessi mentali e paure.”

Il ruolo dei social media

Il sentirsi a disagio per la propria presunta bruttezza può essere moderato da un uso patinato e calcolato dei social media, in particolar modo su Instagram. Qualcuno scrive:

“Se lo usi bene e fai foto fighe, oltre ad avere una vita sociale decente (anche solo uscite con amici eh niente di assurdo) e fai belle storie, puoi rimorchiare senza essere un figo assurdo… in più come è già stato ripetuto più e più volte in questo forum, Instagram ormai è il “curriculum sociale” di una persona. Quindi se non ce l’hai o comunque hai due foto di te in bagno o in cucina e quattro follower, purtroppo non vieni cagato. Ormai è una delle prime cose che chiedono le tipe quando si fa conoscenza (con questo non sto dicendo che condivido ciò che sono diventati i social oggi, sono solo obiettivo).”

Andare oltre, più in profondità

Il giudizio più immediato e superficiale potrebbe essere: “Hanno problemi psicologici perché non riescono a instaurare relazioni”. Tuttavia, una riflessione più approfondita, basata su un’osservazione netnografica, rivela una realtà molto più complessa. Le dinamiche che emergono all’interno di queste comunità online affondano le loro radici in problematiche comuni a gran parte degli adolescenti, ma che in questo contesto sembrano persistere anche in età adulta. Tra questi fattori, un ruolo cruciale è giocato dai rapporti spesso problematici con i propri genitori.

In particolare, è il giudizio, espresso o implicito, dei genitori che può avere un peso significativo. Molti dei membri di queste comunità hanno interiorizzato, fin da giovani, aspettative e giudizi che riguardano non solo il successo relazionale e sessuale, ma anche aspetti legati all’autostima e all’identità personale. Spesso ci si trova di fronte a individui che non si sentono all’altezza delle aspettative familiari o sociali, e che vivono queste pressioni come fallimenti personali. La mancanza di relazioni viene quindi percepita non solo come un problema individuale, ma come un segno di inadeguatezza rispetto a standard sociali e familiari, il che amplifica il senso di esclusione e frustrazione. Scrivono:

“Quasi ogni giorno mia madre mi ricorda che sono un fallito. Mio padre ha un atteggiamento passivo e a volte litigano perché lei è troppo dura con me. Quindi pessimo rapporto con mia madre, normale con mio padre.”

Questo disagio non riguarda esclusivamente la sfera relazionale, ma si estende a una più ampia difficoltà nell’affrontare le dinamiche della vita adulta. La sensazione di fallimento rispetto alle aspettative genitoriali, che magari non sono mai state esplicitamente comunicate ma avvertite a livello sottile, può avere un impatto devastante. La difficoltà a rispondere a tali aspettative si intreccia con insicurezze già presenti, creando un circolo vizioso che alimenta ulteriormente il senso di alienazione e isolamento. E ancora:

“Una volta mia madre si era talmente incazzata perché io ho l’abitudine a chiudermi al bagno e a stare al cesso mentre magari sto sul forum oppure sto a leggere che mi disse “che all’età mia i ragazzi scopano come luridi” (parole testuali).”

Il corpo dell’uomo

Un ultimo dato interessante che emerge dall’osservazione è legato alla percezione del proprio corpo. Tra le preoccupazioni più ricorrenti di questi ragazzi, spiccano il timore di non essere abbastanza alti e quello di avere una voce considerata poco virile. Questi aspetti fisici e vocali sono vissuti come veri e propri handicap nella ricerca di una relazione, e la loro importanza è confermata anche in contesti come le bio maschili su Tinder, dove l’altezza viene spesso messa in primo piano come un valore fondamentale.

Il secondo timore, legato alla virilità della voce, è altrettanto significativo. La tecnologia, in questo caso, offre ulteriori spunti di analisi attraverso small data. Ad esempio, l’app Voice Analyzer, che permette di analizzare e codificare il tono della voce, viene frequentemente utilizzata per capire quanto una voce possa essere percepita come “maschile” o meno. Le recensioni e i commenti lasciati dagli utenti rivelano quanto questo aspetto preoccupi molti uomini, che vedono nel tono della propria voce un elemento chiave per definire la loro identità e attrattività.

In conclusione

Questi dati ci suggeriscono che, mentre si parla spesso del disagio e della non-accettazione della donna da parte di queste comunità, vi sono segnali evidenti di una fragilità maschile altrettanto profonda, che meriterebbe maggiore attenzione. Il focus non è solo su come questi uomini percepiscono le donne, ma anche su come percepiscono sé stessi all’interno di un sistema che sembra continuamente misurare e giudicare la loro virilità.

Le tracce aprono una riflessione importante per i brand: sebbene il mercato e la comunicazione si siano giustamente concentrati negli ultimi anni sull’emancipazione femminile e sulla lotta contro gli stereotipi di genere legati alle donne, potrebbe essere arrivato il momento di considerare anche le fragilità maschili. L’ansia legata all’aspetto fisico e alla voce, la pressione sociale sul concetto di virilità, e il desiderio di rispondere a standard che appaiono inaccessibili sono segnali che suggeriscono una potenziale area di intervento per chi vuole rivolgersi a un pubblico maschile con empatia e consapevolezza.

*

    Tratto, ispirato e ampliato da:
    #Datastories. Seguire le impronte umane sul digitale (ed. Hoepli)

        Consigli di lettura