Abbiamo tra le mani una bella matassa di sfide da sbrogliare: debito energetico che si gonfia, cambiamenti climatici palpabili, costi della nostra quotidianità in salita. E per giunta, si è sciolta del tutto l’illusione che una volta finita l’emergenza sanitaria ne saremo usciti migliori. Invece no: le risorse si stanno esaurendo, i punti di riferimento istituzionali barcollano, e le diseguaglianze sociali mettono radici ancora più forti, anche sul digitale.
Il pedaggio per tenere in carreggiata le emozioni è alto, e l’impatto a lungo termine della situazione attuale sulla salute mentale di tutti noi si fa già sentire. Più che i governi, oggi sono i brand che si assumono la responsabilità di dare sostegno alle comunità, di dare speranza.
Questo approfondimento traccia le influenze della crisi che viviamo – sociale, generazionale, finanziaria, valoriale – e di come le aziende più sensibili alle tensioni intercettano comportamenti, emozioni e bisogni umani, e con che modalità stanno imbastendo nuove forme di dialogo, fuori e dentro la Rete.
Rimodellare il pensiero
Tra inflazione, caro bollette e guerra in Ucraina il panorama non è dei più rosei e il costo della vita si fa importante, soprattutto per chi si trova in grandi città, dove vivere in modo sostenibile significa investire in nuovi comportamenti spesso onerosi. Sono parecchi i fattori che influenzano i cittadini delle metropoli: la gentrificazione, i salari congelati, i prezzi che si gonfiano, a volte in modo silenzioso, dal caffè al bancone al biglietto dei mezzi pubblici. Per di più, entra in gioco una buona dose di stress relazionale, difficoltà a immaginare il futuro, solitudine, mancanza di spazi verdi. Un bel casino, insomma.
Anche se è stato smentita da più parti la traduzione del carattere cinese “crisi” (wēijī) in “pericolo e opportunità”, è pur vero che possiamo usare “momento cruciale” come alternativa valida. Siamo davanti a un momento cruciale, in effetti, dove abbiamo – adesso sì – l’opportunità di dare una nuova forma al modo in cui pensiamo e viviamo. Una forma più semplice e semplificata, a basso impatto, possedendo e sfruttando meno. Alcuni brand lungimiranti stanno lavorando proprio abbracciando questa prospettiva, che non significa rinunciare ai propri guadagni, piuttosto contribuire a una vita migliore. IKEA ha lanciato pannelli solari fai-da-te compatti per la casa, così da aiutare le persone a compiere la transizione all’energia verde senza investimenti ingenti e tecnologie per addetti ai lavori, per esempio.
Evitare sprechi e superfluo
Gli habitat digitali, in particolare le app mobile, danno una grande mano nel difficile compito di cambiare pian piano i comportamenti delle persone. Benché negozi di fast fashion e discount rimangano attraenti per chi ha il portafoglio che piange, app virtuose come Too Good To Go per il cibo e Vinted per i vestiti testimoniano che una possibile strada diversa è tracciata. Per la maggior parte delle persone, sostenibilità non significa quasi mai acquisti più convenienti e accessibili, ma potrebbe diventare sinonimo di qualità-benessere, proprio e del nostro pianeta.
In questa ottica less is more, anche il mercato immobiliare registra una tendenza interessante. In Occidente, i “micro-appartamenti” – alla Renato Pozzetto in Il ragazzo di campagna, per intenderci – sono in aumento costante dal 2013 a oggi. In Australia, il direttore creativo Colin Chee ha fondato la piattaforma video Never Too Small, che mette in luce la bellezza e l’efficienza delle case più piccole, un po’ come fanno certi programmi di Real Time o Discovery+. Casa più piccola significa meno energia, meno emissioni, meno materiali da costruzione, il che fa bene sia alle finanze che all’ambiente. E significa anche avere più voglia di uscire di casa, forse, e incontrarsi con altre persone. Per arginare parte dello stress da sovraffollamento e cemento, gli spazi esterni sono vitali, dagli angoli di giardinaggio comunitario ai campi intergenerazionali di bocce, fino ai parchetti di gioco libero per i piccoli.
Ma a proposito di case, va anche messo sul tavolo che sia gli elettrodomestici che gli strumenti tecnologici sono diventati contemporaneamente eco-consapevoli e meno ingombranti. La mini-lavastoviglie Bob ne è un esempio: non ha bisogno di un collegamento all’impianto idraulico ed è progettata per consumare il meno possibile. Il rapporto tra minimalismo e sostenibilità si sta facendo dunque sempre più simbiotico, per fortuna. Basti pensare alle nostre stanze, di vent’anni fa, in casa e in ufficio, e alla dimensione dei computer, telefoni con il cavo o dei televisori con tubo catodico.
Per approfondire
- Il sito web Ethical Consumer valuta brand e aziende in base a standard di sostenibilità in ogni area di consumo, dall’energia al cibo, fino all’abbigliamento e ai cosmetici.
- Negli Stati Uniti, una start-up di biotecnologie ha sviluppato Strella, una nuova tecnologia di sensori per misurare la maturazione di frutta e verdura contro lo spreco.
- L’app Sustained Choice utilizza uno scanner di codici a barre per mostrare le informazioni sul cibo acquistato, inclusi l’uso del suolo e dell’acqua, nonché l’inquinamento degli oceani e le emissioni di gas a effetto serra.
- Patagonia da tempo cerca di rendere la propria catena di approvvigionamento il più sostenibile possibile scoraggiando dall’acquistare una nuova giacca a meno che non sia necessario, oltre proporre soluzioni per riparare o riciclare.
- The Library of Things è un esempio di piattaforma londinese per la condivisione di elettrodomestici e strumenti tecnologici, con l’obiettivo di combattere il consumo eccessivo, riducendo i costi per le persone.
Intanto, su TikTok e Pinterest
In questa crisi, le generazioni più giovani cercano consigli per risparmiare denaro soprattutto in Rete. I fin-influencer sui social, e in particolare su TikTok, hanno recentemente registrato un boom, con creatori che offrono suggerimenti anche per gli investimenti. Al contempo, Pinterest Predicts 2022 ha rilevato che le ricerche per “Suggerimenti per gli investimenti” sono aumentate di oltre il 195%; “Consigli per il reddito passivo” di oltre il 35%; “Educazione del 155%.
Cercare la leggerezza
Lo sappiamo: i beni sono estensioni del nostro io, della nostra identità, e spesso e volentieri hanno un valore sentimentale legato a particolari momenti della vita. Scegliere di possedere meno, anche in tempo di crisi, è complesso. Benché l’hashtag #minimalism su Instagram porti a 26 milioni di risultati, in molti ancora pagano le conseguenze del possedere troppe cose sul benessere personale e sull’ambiente. Inoltre, dal metodo Marie Kondo in poi, negli ultimi anni è stato tutto un fiorire di servizi per l’organizzazione domestica e di gruppi di scambio, oltre a essere un trend che calza a pennello con le estetiche Instagram.
Eppure, la pandemia ha costretto le persone a trascorrere più tempo a casa, portando a due effetti solo in apparenza contrapposti: più spese online (mirate), e più pulizie, dunque ad addii a oggetti superflui. Più in generale, ha costretto le persone a riformulare i propri valori, spesso portando a semplificare il proprio stile di vita. Risultato? Si è fatto un passo in più verso l’acquisto del “meno ma meglio”, iniziando ad affezionarsi di più le cose che si possiedono. Ad amarle, ecco.
Meno prodotti, più esperienze
Ancora più dei beni, sono le esperienze a essere significative per le persone. Per i brand, a maggior ragione, questo significa associare un prodotto a una memoria positiva, a un beneficio, a un impatto che migliora la qualità di vita. Nel settore del lusso, ad esempio, l’elemento esperienziale è stata a lungo una parte fondamentale dell’acquisto ed è stata spesso considerato importante tanto quanto il prodotto stesso. Basti pensare al primo cafè e ristorante griffato Louis Vuitton a Osaka. Le persone hanno bisogno di connessione emotiva con il brand, nonché di un rapporto leale e alla pari. Meglio ancora se a essere coinvolti sono i sensi sacrificati durante la pandemia, come il tatto, l’olfatto e il gusto.
Una lettura sul tema
Quasi un decennio dopo il loro libro del 2011 Minimalism: Live a Meaningful Life, i pionieri del movimento minimalista moderno Joshua Fields Millburn e Ryan Nicodemus, hanno pubblicato il loro quarto libro, Love People Use Things: because the Opposite Never Works, esplorando in che modo agisce l’influenza del decluttering e su come fare spazio a relazioni più significative.
Una domanda, e una risposta
Ma perché ci riempiamo di oggetti che poi non usiamo?
Entrano in gioco diversi elementi: proviamo appagamento anche solo nel possederli, ad esempio, ma a volte capita anche che cerchiamo di proteggerli dall’uso. L’esempio più lampante rispetto a questo insight sono i corredi e i servizi di porcellana della nonna, che non vengono usati se non in occasioni speciali. Ma può capitare anche con un’agenda, così carina da aver paura di rovinarla con una brutta calligrafia, o con una bottiglia di vino prestigiosa.
Il piacere di navigare nei negozi
Se da un lato gli acquisti online rappresentano una minaccia alle finanze delle persone, dall’altra parte è imprescindibile considerare quanto tempo passano le persone sui social, in particolare i più giovani. Il cosiddetto social shopping attinge da una necessità tutta umana di connettersi ad altre persone in base a interessi condivisi, soprattutto in momenti dove c’è così tanta tensione e preoccupazione per il futuro. Diventa rassicurante.
Proprio come sta accadendo ai giorni nostri, anche durante la Grande Recessione, tra la fine del 2007 e la metà del 2009, i comportamenti di consumo hanno subito un drastico cambiamento, provocando il calo più netto della spesa delle famiglie dalla Seconda Guerra Mondiale. L’aumento dell’inflazione di oggi riduce il reddito disponibile per parecchie persone e frena molti acquisti d’impulso, ma non toglie il desiderio di fare acquisti. A cambiare è il “come”, il comportamento: di seconda mano, barattati, fai-da-te. E i social media facilitano queste alternative, con strumenti digitali, sezioni shop, gruppi tematici.
La responsabilità social dei brand
Per salvaguardare l’acquisto d’impulso nei momenti di difficoltà economica, i brand sono chiamati a essere responsabili e ad agire in modo etico, supportando le proprie comunità online anziché spingerle continuamente a fare shopping. Se, ad esempio, incoraggiassero i consumatori a riparare un prodotto anziché acquistarlo nuovo, permetterebbero alle persone di capire fino in fondo il ciclo di vita di un bene. E, di conseguenza, i consumatori finirebbero per ricordarsene ed esserne grati quando farà capolino la ripresa.
Segnali deboli in Rete
Uno studio post-pandemia pubblicato da Stackla che ha rivelato che l’80% delle persone ha più probabilità di acquistare un prodotto online se ci sono foto e video di clienti reali. Dunque…
- Piattaforme come Curated potrebbero decollare per rassicurare le persone nel processo di acquisto: collega i consumatori ad esperti selezionati in grado di fornire raccomandazioni su come e dove spendere i propri soldi;
- Come TikTok, anche Discord è andato oltre i contenuti più frivoli per dare una mano e costruire un dialogo diretto, ad esempio con sessioni di domande e risposte con i brand costruendo così una discussione in tempo reale.
- Il nuovo ecosistema Swaypay ribalta il paradigma: anziché avere brand che pagano influencer per promuovere capi, le persone taggano le aziende sugli abiti che indossano su TikTok e vengono pagati per… averli acquistati e mostrati online.
- WhatNot e PopShop sono social commerce che combinano il trend del live streaming di Twitch, Instagram e YouTube con le aste online: un modo divertente per acquistare oggetti unici a poco e per incoraggiare la crescita della connessione sociale.
Da riflettere
Le piattaforme “compra ora, paga dopo” come Klarna stanno rendendo più facile l’acquisto di beni a credito, ma generano più debiti. Qual è il giusto compromesso tra offrire un’esperienza trasparente rispetto alla possibilità di pagamento e un aiuto a evitare di inciampare in acquisti impulsivi proprio quando si è vulnerabili? La questione è aperta.
Il futuro prossimo in tempo di crisi:
- Cavalcare il lato sociale dello shopping. I social vanno a nozze con le tendenze emergenti, la possibilità di scoprire e testare nuovi prodotti grazie al proprio feed, e connettere persone distanti tra loro. Ma non è detto che questa gioia di condivisione non possa trovare spazio anche negli store, creando occasioni ibride, phygital, tra online e offline.
- Puntare a esperienze personalizzate. L’AI sta facendo passi da gigante. YesPlz, ad esempio, sfrutta l’intelligenza artificiale per creare consigli intelligenti su Shopify. Intelistyle, invece, offre una personalizzazione della moda, con tanto di consigli sullo stile e ricerche visive per trovare prodotti o look partendo da suggestioni visive.
Il lato divertente della finanza
Secondo il Knowledge & Information di Google, il 40% dei giovani non si rivolge a Google per cercare dove andare a mangiare o fare shopping. Insomma, niente Google Maps: c’è Instagram, o TikTok. Non stupisce: si tratta della prima generazione di nativi digitali e la maggior parte delle decisioni che prendono sono influenzate da ciò che vedono nei propri feed. L’hashtag #tiktokmademebuyit – “TikTok mi ha fatto comprare” – ha più di 20 miliardi di visualizzazioni su TikTok.
Un caso emblematico della potenza dei social media anche sulle decisioni finanziarie dei giovani è quello legato a GameStop. Il rivenditore di giochi, in un momento non felice dal punto di vista economico, ha visto il prezzo delle sue azioni aumentare del 1200% tra dicembre 2020 e gennaio 2021, grazie a un thread su Reddit -r/WallStreetBets. Ben Patte, un sedicenne del Wisconsin, ha dichiarato al New York Times di aver guadagnato 750 dollari proprio così.
Soddisfare la FOMO gratis
I brand, anche non strettamente legati al mondo finanziario, possono soddisfare la paura della Generazione Z della FOMO (acronimo di “fear of missing out”, la paura di essere tagliati fuori) e aiutarli a stare al passo con i trend. Invece di chiedere ai propri clienti di sborsare 5000 dollari, il prezzo medio di un NFT secondo la piattaforma di trading OpenSea, alcune aziende ad esempio li offrono ai clienti gratuitamente come oggetto da collezione. Nell’ottobre 2021, la DC Comics ha regalato NFT di supereroi gratuiti a chiunque si fosse registrato a un suo evento. A marzo, anche Estee Lauder ha regalato diverse migliaia di NFT ispirati al suo siero di punta Advanced Night Repair, così che gli avatar dei partecipanti avrebbero avuto in cambio un aspetto più “luminoso”.
Generazioni e mobilità anticrisi
Per mitigare gli umorali aumenti della benzina ed evitare le folle di pendolari del pre-pandemia, chi ha tra i 25 ei 34 anni prende sempre più in considerazione l’adozione di altri mezzi di trasporto rispetto ad auto e bus. Ma la micro-mobilità elettrica, nonostante la garanzia di flessibilità di viaggiare quando e come si vuole, è ancora una questione anagrafica. Eppure, potrebbe essere un punto di svolta per le persone anziane, limitate negli spostamenti, e anche per i più giovani boomer, spesso riluttanti verso soluzioni a basso impatto. Interessante, ad esempio, la collaborazione tra Christian Dior e Vespa, apparsa su Netflix in Emily in Paris: unendo l’amore per la moda e le radici del marchio nella capitale francese, ha invitato le persone a correre il rischio di una nuova esperienza in cambio di un nuovo e più sano stile di vita.
Fare i conti con il lusso
Si dice che se c’è una cosa che sopravvive a una recessione è il lusso. Durante il crollo finanziario del 2008, il Savigny Luxury Index, l’indice che replica i prezzi delle azioni di 19 società di lusso quotate in borsa, è sceso del 62% dal 2007 al 2009. Ma mentre gli investitori tremavano, la vendita al dettaglio cresceva di anno in anno. La crisi di oggi ha una tendenza simile e ci sono molte interpretazioni possibili. Innanzitutto, si pensa che pelletteria e gioielleria di lusso siano un investimento, poiché sono prodotti che mantengono il proprio valore. In seconda battuta, durante i periodi di crisi, si è portati a mostrare la propria ricchezza. E, ancora una volta, i social media, Instagram in primis, contribuiscono.
Qualcosa però, rispetto al 2008, è cambiato rispetto a modelli e comportamenti: le persone ora sono disposte a pagare di più per qualcosa che è in linea con le proprie convinzioni e valori, che si tratti di un brand attento all’ambiente oppure di un prodotto o servizio che metta in mostra lo status o l’appartenenza a una scuola di pensiero.
Il revenge shopping
Dopo la pandemia, ha preso piede una tendenza che prende il nome di “shopping di vendetta”, e che ha visto le persone recuperare il tempo perso, spendendo i risparmi accumulati chiusi in casa. Si tratta di mantenere le apparenze da un lato, e di regalarsi un momento di auto-indulgenza dall’altro, dopo tanta difficoltà e paura per il futuro. In effetti, il 2021 ha visto la crescita delle vendite al dettaglio più rapida dal 2004. Prada, ad esempio, ha registrato un aumento dei ricavi dei suoi beni di lusso del 41% dopo la pandemia.